Cosa sono realmente il remote working e lo smart working? Quali sono le differenze tra i due?
L’avvento della pandemia dello scorso anno e le conseguenti nuove sfide che le aziende hanno dovuto affrontare a livello globale hanno portato ad una grandissima trasformazione. Molte imprese hanno dovuto rivedere la loro struttura organizzativa, i loro processi aziendali, la comunicazione tra team e i loro spazi lavorativi per poter mettere in piedi un sistema di lavoro più agile e flessibile.
Dalla necessità di rispondere alle nuove necessità lavorative attuali, sfruttando le opportunità che la tecnologia offre e valorizzando la creatività e il benessere dei dipendenti, è emerso un nuovo modo di lavorare, ormai chiamato da tutti smart working.
Si tratta di un nuovo modo di strutturare il lavoro che si libera in gran parte di molti paletti e dell’inflessibilità degli schemi predeterminati dai classici ambienti di lavoro, per concentrarsi su aspetti più pragmatici: obiettivi, progetti e persone.
Accanto a questo concetto è da sempre esistito quello del cosiddetto remote working, il lavoro a distanza. Già da prima dell’avvento della pandemia, alcune aziende hanno usufruito del remote working per gestire il rapporto lavorativo con i propri dipendenti con una modalità che però non si è diffusa così ampiamente fino al giorno d’oggi, e che comunque presenta delle differenze rispetto allo smart working.
In questo articolo scopriamo insieme cosa sono smart working e remote working, quali sono le differenze e quali sono le principali cose da sapere dal punto di vista delle aziende.
Sommario
Principali sfide dello smart working
Dopo averne visto la definizione e i concetti principali è facile capire perché lo smart working sia diventato così popolare. Tuttavia, le aziende in maniera generalizzata hanno iniziato, forse in maniera troppo affrettata, ad attuare alcuni cambiamenti con l’avvento della pandemia.
Ecco alcune delle sfide e difficoltà principali incontrate da aziende e dipendenti nella gestione dello smart working:
Alienazione
Passano gli anni ma la storia si ripete e l’umanità difficilmente impara dai propri errori. Già Marx, a cavallo delle due grandi rivoluzioni industriali, aveva avvertito l’umanità del pericolo di alienazione dell’uomo nei confronti della tecnologia.
Anche oggi il problema rimane attuale. Passare ore e ore davanti a un computer, da casa, senza avere alcun tipo di interazione con altri esseri umani, rischia spesso di alienarci dalla realtà. Il consiglio è quello di prendersi del tempo per staccare gli occhi dal monitor e spenderlo in attività fisica o i altri tipi di svago. Alla fine dei conti rimaniamo sempre umani.
Iperproduttività
Migliore amica dell’alienazione, l’iperproduttività appartiene al “lato oscuro” dello smart-working. Ricordiamoci sempre che il termine “smart” in inglese non significa “veloce” ma “intelligente”. Via via, anche nei contesti aziendali, ci siamo abituati a richieste di prestazioni altissime, sull’onda della crescita costante e del risparmio di tempo.
Anche in questo caso non è facile capire da dove derivi tutto questo eccesso di produttività che spinge le persone a rimanere incollate al computer per ore e ore, anche oltre l’orario di lavoro. Gli uomini sono esseri limitati per natura, uno sforzo eccessivo per produrre di più va a scapito della salute e della qualità del lavoro finale. Il motto dello smart working dovrebbe sempre essere: prima la qualità ed il benessere, poi il resto.
Assenza di privacy
Lavorare da casa può significare in molti casi “far entrare” qualcosa che fino a prima era estraneo e diviso all’interno del nostro ambiente privato. Gli occhi di manager, colleghi e superiori entrano nell’intimità delle nostre stanze e dei nostri salotti durante le video chiamate di lavoro via webcam.
Il rischio è che l’azienda, piano piano, conquisti anche lo spazio privato del dipendente mettendo a repentaglio la sua libertà di essere un individuo indipendente e separato dal luogo in cui lavora. È sempre importante ricordare che fiducia e rispetto dovrebbero essere la base fondante di ogni rapporto tra dipendente e datore di lavoro.
Ossessione con il taglio dei costi
Con l’espandersi a macchia d’olio dello smart-working, molte aziende hanno deciso di chiudere i loro uffici e far continuare i propri dipendenti a lavorare ad oltranza da casa. Ovviamente tutto questo si traduce in un effettivo risparmio in termini di affitto dei locali, connessione internet, bollette per le utenze e spese di cancelleria. Costi che però, ora, vanno a gravare sul dipendente che dovrà necessariamente procurarsi il materiale con cui lavorare, oltre che spendere di più per le proprie utenze.
Se da un lato l’azienda risparmia, in molti casi dall’altro il dipendente sostiene costi più elevati. Un contratto di lavoro in smart-working dovrebbe sempre prevedere un rimborso spese predefinito per compensare i costi aggiuntivi sostenuti dai i dipendenti che non lavorino dall’ufficio.
Non è tanto difficile da capire: utilizzano loro connessioni internet, molte volte i propri computer e la propria elettricità per lavorare al servizio dell’azienda. Non è assolutamente sano che il rapporto di lavoro diventi così profondamente esigente nei confronti dei lavoratori. Per questo motivo, le aziende non dovrebbero focalizzarsi semplicemente sul beneficio derivante dal taglio dei costi, ma dovrebbero continuare a investire attivamente nel benessere e nella soddisfazione dei propri dipendenti.
Cos’è il remote working? La definizione
Dopo aver parlato di smart working, addentriamoci invece nell’altro concetto che spesso viene associato a quest’ultimo: il remote working.
Il remote working, o lavoro a distanza, è un tipo di stile lavorativo che permette ai dipendenti di lavorare in maniera totalmente indipendente in termini di luogo, da dove preferiscono, e quindi a distanza dal classico ambiente di ufficio. Si basa sul concetto cardine che non tutti i lavori hanno bisogno di essere svolti in un luogo specifico per essere portati a termine con successo.
Dal punto di vista del dipendente, il potenziale vantaggio è chiaro in: invece di fare il pendolare e raggiungere l’ufficio ogni giorno per lavorare dalla solita scrivania, i dipendenti “working remotely” (per dirla all’inglese) possono lavorare ai propri progetti e raggiungere i propri obiettivi ovunque vogliano, senza vincoli di posizione. In questo modo, possono avere la flessibilità di progettare le loro giornate facendo in modo che le loro vite private e professionali possano essere vissute al massimo del loro potenziale e coesistere in maniera flessibile e non conflittuale.
Nel caso del remote working, le aziende possono decidere se lavorare con dei freelancer a progetto oppure sottoscrivere dei veri e propri contratti di lavoro subordinato continuativo nei quali non sia previsto alcun tipo di obbligo per il lavoratore di recarsi in ufficio.
Molto del lavoro parlando di remote working lo ha fatto il cambio culturale dell’ultimo decennio, che ha portato la società a cambiare la propria idea di “posto di lavoro appropriato” e permettendo ai lavoratori a distanza di capitalizzare questa ritrovata libertà.
👉 Potrebbe interessarti questo articolo ricco di informazioni, risorse e leggi su come funziona il telelavoro in Italia.
I benefici del remote working per le aziende
Ma perché le aziende dovrebbero sfruttare il remote working nella gestione dei propri rapporti lavorativi? Ecco alcuni dei principali benefici nell’utilizzo di questa pratica.
Maggiore produttività
Anche se, come abbiamo visto, non sempre è così, uno dei benefici di cui si parla di più nell’optare per il remote working è l’incremento della produttività dei dipendenti, portato dalla maggiore flessibilità. Spesso i dipendenti che lavorano a distanza sono più propensi a dare qualcosa in più nel loro lavoro, data anche la necessità e l’abitudine a organizzarsi e stimolarsi autonomamente.
Secondo un recente report di Capgemini, il 63% delle imprese ha registrato un notevole aumento della produttività nel terzo trimestre del 2020, grazie all’introduzione del lavoro da remoto. Sempre secondo quanto descritto dal medesimo report, i settori in cui si è registrato il maggior aumento della produttività sono quello delle soluzioni IT e digitali (68%), seguite dal servizio clienti (60%) e dai reparti vendite e marketing (59%).
Taglio dei costi
L’avevamo già accennato, ma il discorso vale anche per il remote working: i dipendenti che lavorano da remoto sono decisamente meno costosi per le aziende. Se i team lavorano completamente o parzialmente a distanza, le aziende possono veder diminuire drasticamente le proprie spese di gestione generali grazie al denaro risparmiato relativamente all’affitto dei locali e ai mobili da ufficio.
Basandoci su una recente ricerca portata avanti da La Repubblica, le aziende risparmierebbero 10 mila euro all’anno per ogni posto di lavoro trasformato in lavoro da remoto.
Maggior coinvolgimento dei dipendenti
Per quanto si possa pensare che la mancanza dell’ambiente d’ufficio possa “raffreddare” i rapporti tra dipendenti e aziende, con le giuste strategie le imprese possono mantenere i loro dipendenti coinvolti e soddisfatti.
Molti dipendenti ammettono che lascerebbero il proprio lavoro per uno che offra la possibilità di lavorare da remoto. La maggiore flessibilità richiesta dai dipendenti diventa quindi un requisito fondamentale per attirare e trattenere i migliori talenti, ridurre il turnover dei dipendenti e far sì che la conoscenza creata all’interno dell’azienda continui a lavorare per il bene della stessa.
Il remote working in Italia
Ma qual è la situazione del remote working in Italia? Per come siamo abituati a pensare, il nostro Paese è sempre un po’ più restio nell’adattarsi al cambiamento. Anche se, come dimostrato dai dati qui sotto, la situazione è decisamente cambiata.
Una recente ricerca condotta dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano mostra una situazione caratterizzata da un vera e propria esplosione del remote working in Italia nell’ultimo anno. Prima della pandemia in Italia, i soggetti a lavorare da remoto erano 570 mila. La crescita con la crisi sanitaria è stata del 1.050%, portando il numero addirittura a 6,58 milioni.
Globalmente in Italia, il cambiamento ha coinvolto:
- il 97% delle aziende private
- il 94% della pubblica amministrazione
- il 58% delle PMI
Dati che fanno capire come questo trend difficilmente invertirà la propria tendenza, aprendo la strada (probabilmente) ad una vera e propria rivoluzione definitiva nel nostro Paese a livello lavorativo.
👉 Con tutti questi nuovi termini è facile sentirsi disorientati. Leggi questo articolo in cui spieghiamo le differenze tra smart working, south working e near working nell’era del new normal.
Remote working vs smart working: qual è la differenza?
Ora che abbiamo affrontato in maniera più approfondita i due concetti, è arrivato il momento della domanda fatidica: ma qual’è la differenza tra remote working e smart working? Il limite è sottile, ma comunque importante differenziare.
Il remote working può esser visto come progressione e ampliamento di quello che abbiamo sempre chiamato “telelavoro”, che esiste ormai già da diversi anni. Con il remote working il lavoro a distanza è diventato più concreto, stabile e definito su una base chiara, anche contrattualmente.
Lo smart working, d’altro canto, ha più a che vedere con una profonda trasformazione nella cultura del lavoro delle imprese che passa, ma non solo, attraverso la trasformazione digitale delle stesse. Il cardine qui è il cambiamento nella maniera di concepire i rapporti lavorativi e nella ricerca non più di adattare le persone ai posti di lavoro, ma il contrario.
L’idea fondamentale dello smart working è, come il nome fa intendere, quella di lavorare in maniera “più intelligente”: ciò significa poter strutturare il proprio lavoro con flessibilità in termini di tempo, spazio, esigenze e misurazione per permettere ad ogni dipendente di dare il proprio meglio in base alla propria personalità, alle proprie attitudini e alle proprie esigenze.
Scritto da Matteo Pizzinato