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Sblocco licenziamenti: ultime notizie sulla proroga e cosa è cambiato dal 1 luglio

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8 minuti di lettura
sblocco licenziamenti

Cosa accade per le imprese con lo sblocco licenziamenti? Ci sarà una nuova proroga del blocco?

Le conseguenze portate dall’emergenza sanitaria continuano inesorabilmente a ripercuotersi sulle aziende. Non più dal punto di vista della produttività, in quanto ormai quasi tutte le imprese hanno potuto ricominciare ad operare ad un ritmo naturale, quanto dal punto di vista delle ripercussioni del lungo stop degli scorsi mesi.

Ultimamente il tema più caldo riguarda lo sblocco licenziamenti, ovvero la decadenza del divieto nei confronti delle aziende di licenziare i propri dipendenti. Il blocco dei licenziamenti è stato prorogato più volte e l’ultima scadenza fatidica era quella del 1 luglio, giorno in cui decade la proroga al blocco dei licenziamenti.

Imprese, sindacati e Governo (nella persona del Premier Mario Draghi) hanno raggiunto un’intesa per cercare di rendere quanto più graduale e meno impattante possibile la fine del blocco dei licenziamenti, raccomandando fortemente alle imprese l’utilizzo degli ammortizzatori sociali prima di ricorrere all’interruzione dei rapporti di lavoro.

Il blocco dei licenziamenti, però, rimane valido fino almeno al 30 ottobre per alcune categorie di aziende particolari.

In questo articolo cerchiamo di capire qual è stata l’intesa trovata tra sindacati, governo e imprese sullo sblocco licenziamenti e quali sono state le tappe più importanti che hanno portato fino a qui.

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Sblocco licenziamenti Draghi: l’intesa sul lavoro delle parti sociali

La principale novità sullo sblocco licenziamenti riguarda l’intesa raggiunta dalle parti sociali.  Alla vigilia della scadenza del 30 giugno le varie parti, infatti, hanno trovato un accordo, anche se non è vincolante.

Il Governo (nella figura del Presidente del Consiglio Mario Draghi), i sindacati e le imprese hanno firmato, al termine di un confronto durato a lungo, un avviso comune che impegna le aziende a utilizzare in primis tutti gli ammortizzatori sociali a disposizione prima di procedere ai alle risoluzioni di contratto. Ecco quanto recita il testo dell’accordo:

“Le parti sociali alla luce della soluzione proposta dal Governo sul superamento del blocco dei licenziamenti, si impegnano a raccomandare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali che la legislazione vigente ed il decreto legge in approvazione prevedono in alternativa alla risoluzione dei rapporti di lavoro. Auspicano e si impegnano, sulla base di principi condivisi, ad una pronta e rapida conclusione della riforma degli ammortizzatori sociali, all’avvio delle politiche attive e dei processi di formazione permanente e continua.”

Il documento è stato firmato sia dal premier Mario Draghi, che dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando, dai leader di Cgil, Cisl e Uil e da Confcooperative, Cna, Confapi e Confindustria.

Congiuntamente alla firma comune è stata associata anche l’istituzione di un tavolo di monitoraggio a Palazzo Chigi volto a gestire e seguire eventuali emergenze sociali a seguito dello sblocco licenziamenti, con il superamento della scadenza del 30 giugno.

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Sblocco licenziamenti: i contenuti salienti dell’accordo

Ciò che l’accordo firmato dalle parti sociali implica è che i licenziamenti verranno in ogni caso sbloccati, ma con una “raccomandazione” alle aziende di usufruire innanzitutto delle 13 settimane di cassa integrazione pagata dallo Stato prima di procedere ai licenziamenti. Non vi è quindi nessun obbligo per le aziende che, potenzialmente, potrebbero licenziare senza conseguenze. Solo una raccomandazione generale.

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Blocco licenziamenti: proroga valida solo per il settore tessile e moda

La proroga del blocco dei licenziamenti per le aziende entrerà in vigore dal primo luglio al 31 ottobre solo per le imprese del settore tessile, calzaturiero e degli altri settori collegati della moda. Per quanto riguarda gli altri settori i licenziamenti potranno tornare ad effettuarsi liberamente.

Le 13 settimane aggiuntive di cassa integrazione gratuita saranno però concesse non solo alle grandi imprese che maggiormente sono colpite dal problema legato ai licenziamenti, data la grande quantità di personale impiegato, ma anche a quelle di minori dimensioni, le piccole e medie imprese che costituiscono la grande maggioranza nel nostro Paese.

Le imprese che usufruiranno dell’ammortizzatore sociale, come detto, non potranno licenziare i propri dipendenti prima di averla usufruita tutta. In molti leggono questa situazione come una sorta di proroga automatica del blocco dei licenziamenti ma, di fatto, si sta solo parlando dell’utilizzo di un ammortizzatore sociale messo a disposizione dello Stato, dopo il quale il licenziamento viene lecitamente consentito.

👉 Qui trovi una guida che spiega cos’è e come scrivere una lettera di licenziamento.

Blocco licenziamenti: le ultime notizie

Riguardo al blocco dei licenziamenti aleggia anche l’ipotesi di estendere il blocco selettivo anche ad altri settori oltre a quello tessile e della moda. In questo caso, il criterio utilizzato potrebbe essere l’incidenza media della cassa integrazione.

La logica applicata sarebbe: se un’azienda ha usato più Cassa Integrazione Covid significa che è stata più in difficoltà e quindi dovrebbe rientrare tra le aziende per le quali scatta la deroga rispetto alla scadenza del 30 giugno 2021. E se un eventuale blocco selettivo potrebbe andare incontro ad un rischio di incostituzionalità, l’ipotesi di bloccare i licenziamenti per chi ha usato prevalentemente la cassa Covid nel momento in cui si concentra sull’incidenza media della cassa avrebbe il vantaggio di definire un criterio di oggettività globale per tutti i settori. Sarebbe comunque una selezione, ma meno “evidente” sotto il profilo di costituzionalità di quella per settori.

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Blocco licenziamenti giugno 2021: la situazione fino ad ora

Il blocco dei licenziamenti ha avuto inizio lo scorso anno con lo scoppio della pandemia e inizialmente il cosiddetto “Decreto Agosto” lo aveva esteso al 31 dicembre 2020. Varie altre disposizioni si sono susseguite da allora, fino ad arrivare al Decreto Sostegni, il quale ha previsto la proroga del blocco dei licenziamenti con validità fino al 30 giugno 2021 per le aziende di qualsiasi dimensione al fine di impedire il ricorso a licenziamenti collettivi, individuali o plurimi per giustificato motivo oggettivo.

I licenziamenti per giustificato motivo oggettivo rappresentano tutte quelle situazioni nelle quali l’interruzione del rapporto di lavoro avviene per volontà unilaterale del datore di lavoro, in base a situazioni relativa a crisi produttive, cambi nell’organizzazione stessa del lavoro o il suo regolare funzionamento. Ecco alcuni esempi:

  • La soppressione della mansione o del reparto a cui è preposto il lavoratore, anche successivamente a una ridistribuzione delle funzioni
  • Riduzione o mancanza di finanziamenti statali
  • Crisi economica scaturita da un improvviso o graduale un calo del fatturato

Nello specifico, il licenziamento per giustificato motivo è legittimo se:

  • La riorganizzazione aziendale dell’impresa è concreta e non falsa, ovvero architettata al solo con l’intento interrompere il rapporto con il lavoratore
  • Sussiste un diretto rapporto di causa-effetto tra la riorganizzazione aziendale e il licenziamento (ovvero questo processo porta direttamente al licenziamento)
  • Il dipendente che deve essere licenziato viene individuato seguendo i principi di buona fede e correttezza
  • L’azienda verifica opportunamente, prima di ricorrere al licenziamento, l’impossibilità di poter adibire il lavoratore a mansioni alternative
  • Il datore di lavoro rispetta il periodo di preavviso imposto dal CCNL di riferimento

Sblocco licenziamenti: i licenziamenti collettivi

Per i licenziamenti collettivi, ovvero di più dipendenti in una sola volta, la questione è diversa. Per le aziende con un organico formato da più di quindici dipendenti che, a seguito di una riduzione, trasformazione o cessazione della propria attività produttiva, vogliano procedere ad almeno cinque licenziamenti in un arco temporale di 120 giorni  (sia che si stia parlando di in un’unica unità produttiva che di più unità produttive nell’ambito della stessa provincia) sono obbligate ad implementare una procedura definita di “licenziamento collettivo”.

Questa procedura richiede una comunicazione da inviare, da parte dell’azienda indirizzata a rappresentanti sindacali interni all’azienda (oppure, nel caso in cui non fossero presenti, alle confederazioni nazionali) in cui viene espressamente dichiarata l’intenzione di ricorrere a tale provvedimento.

L’ente che riceve la comunicazione (che siano rappresentanze sindacali o associazioni di categoria) hanno la facoltà di richiedere una verifica congiunta entro e non oltre i sette giorni dal giorno in cui hanno ricevuto la comunicazione stessa.

Se la verifica congiunta dovesse rivelarsi negativa (o non dovesse essere effettuata), potrebbe essere necessario l’intervento dell’Ispettorato del lavoro territoriale, che avrà la facoltà di decidere di convocare sia l’azienda in che le organizzazioni sindacali per riuscire a trovare un punto in comune.

Per quanto riguarda i licenziamenti collettivi, i principi utilizzati per la scelta dei lavoratori da licenziare possono essere definiti direttamente nell’accordo, basandosi su:

  • Carichi e responsabilità familiari
  • Anzianità di servizio dei dipendenti
  • Specifiche esigenze tecnico-produttive ed organizzative

Tali criteri vanno esaminati accuratamente e, in ogni caso, dev’essere effettuata una valutazione che tenga conto del contesto particolare e dello stato organizzativo e produttivo dell’azienda nel momento in cui la procedura di licenziamento viene posta in essere.

Blocco licenziamenti: la giusta causa

È importante fare una precisazione per quanto riguarda i licenziamenti avvenuti per giusta causa. La legge prevede infatti che siano esclusi dal blocco dei licenziamenti i licenziamenti per giusta causa, ovvero motivati da comportamenti extra-lavorativi tenuti dal dipendente e talmente gravi e lesivi da compromettere il vincolo fiduciario di quest’ultimo con il proprio datore di lavoro.

Il licenziamento per giusta causa rappresenta a tutti gli effetti un’interruzione unilaterale del rapporto di lavoro che scaturisce da un evento riguardante la condotta del dipendente, ed avviene con effetto immediato, in quanto l’evento è ritenuto talmente grave da non permettere il prosieguo del rapporto lavorativo e quindi non è previsto nessun preavviso.

I licenziamenti per giusta causa, non prevedendo alcun periodo di preavviso, devono necessariamente rappresentare il risultato di una procedura di contestazione disciplinare.

Quest’ultima comporta la comunicazione al dipendente dei fatti contrari al codice disciplinare, con successiva possibilità per quest’ultimo di presentare entro cinque giorni eventuali argomenti a propria difesa.

Trascorso il periodo di cinque giorni il periodo appena citato (o nel caso in cui non vengano ritenute idonee le sue giustificazioni) il datore può adottare una serie di provvedimenti disciplinari tra cui, appunto, il licenziamento per giusta causa.

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Sblocco licenziamenti 2021: vige la proroga al 31 ottobre per l’utilizzo degli ammortizzatori sociali Covid-19

Già anteriormente a questo accordo, sempre secondo il Decreto Sostegni, fino al fino al 31 ottobre 2021 non vi era alcun rischio di perdere il posto di lavoro (rimanendo sempre nell’ambito del giustificato motivo oggettivo, e non della giusta causa) per i dipendenti di aziende che avessero sospeso o ridotto la propria attività come conseguenza di eventi riconducibili all’emergenza sanitaria da COVID-19, e quindi gli ammortizzatori sociali previsti dal Decreto stesso. Nello specifico, sono stati previsti i seguenti ammortizzatori:

La legge prevede infatti che le aziende abbiano la possibilità di usufruire di:

  • 28 settimane di cassa integrazione in deroga o assegno ordinario nel periodo che va tra il 1° aprile e il 31 dicembre 2021
  • 120 giorni di CISOA nel periodo che va dal 1° aprile al 31 dicembre 2021

L’accesso a questi ammortizzatori sociali da parte delle imprese è gratuito (ossia non è richiesto alcun contributo aggiuntivo all’INPS) ma ha come “controindicazione” l’estensione del blocco dei licenziamenti fino alla data del 31 ottobre 2021, a differenza degli altri casi nei quali il blocco dei licenziamenti è terminato il 30 giugno 2021.

Proroga blocco licenziamenti covid: quando non si può licenziare?

In tutti i casi di cui parliamo sopra, ossia l’accesso ad ammortizzatori sociali a seguito dell’emergenza Covid, la proroga del blocco dei licenziamenti al 31 ottobre 2021 vieta espressamente alle aziende di:

  • Procedere a dei licenziamenti collettivi
  • Procedere a dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo attraverso rescissioni individuali o plurime

Oltre a questo, rimangono allo stesso modo sospese anche tutte le procedure di licenziamento collettivo in corso di implementazione avviate successivamente al 23 febbraio 2020, come anche le procedure di conciliazione obbligatoria già in corso, secondo quanto definito dall’articolo 7 della legge n. 604/1966.

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Blocco dei licenziamenti: i tipi di contratto a supporto

Un elemento importante da non dimenticare da parte delle aziende riguarda tutti quegli strumenti accessori a sostegno dell’occupazione messi a disposizione dal Governo per sostenere imprese e lavoratori.

A partire dal 1 luglio, data che per molte aziende rappresenta la fine del blocco dei licenziamenti, le imprese potranno beneficiare sia del cosiddetto contratto di espansione ma, soprattutto, del contratto di solidarietà.

La legge prevede che le imprese che nel primo semestre 2021 abbiano subito un calo del fatturato del 50% rispetto al primo semestre dell’anno 2019 possono presentare domanda di cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga alle disposizioni di cui agli articoli 4 e 21 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148 per una durata massima di 26 settimane nel periodo tra la data di entrata in vigore del decreto e il 31 dicembre 2021.

La domanda dovrà essere accompagnata da una preventiva stipula di accordi collettivi aziendali di riduzione dell’attività lavorativa dei dipendenti in organico alla data di entrata in vigore del decreto (ovvero il 26 maggio 2021) finalizzati al mantenimento dei livelli occupazionali nella fase di ripresa delle attività dopo l’emergenza epidemiologica.

Il decreto Sostegni bis stabilisce che la riduzione media oraria non può essere superiore all’80% dell’orario giornaliero, settimanale o mensile dei lavoratori interessati dall’accordo collettivo.

Per ciascun lavoratore inoltre la percentuale di riduzione complessiva dell’orario di lavoro non può essere superiore al 90% nell’arco dell’intero periodo per il quale l’accordo collettivo è stipulato.

Scritto da Matteo Pizzinato

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Isotta è Content Marketing Specialist in Factorial ed è appassionata di comunicazione, copywriting, social media e HR. Ama la natura, viaggiare e giocare a pallavolo.

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