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Tassazione straordinari: come si calcola, come funziona e tutte le tipologie

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9 minuti di lettura
tassazione straordinari

Per datori di lavoro e responsabili HR la gestione e la tassazione degli straordinari è sempre un tema centrale quando si parla di organizzazione delle risorse umane. È importante definire l’orario lavorativo con chiarezza sin dal principio con i lavoratori e controllare che esso venga rispettato. Ciò significa, assicurarsi che i dipendenti non lavorino né meno né più di quanto stabilito dal proprio contratto.

Nonostante ciò, ci sono occasioni nelle quali lavorare oltre al normale orario prestabilito possa essere non solo previsto, ma anche concordato tra dipendente e datore di lavoro. Ed è proprio questo il caso degli straordinari, concepiti per regolare quelle situazioni nelle quali venga chiesto al lavoratore dipendente di superare il suo normale monte ore, o di lavorare quando (in linea generale) non dovrebbe.

La disciplina del lavoro straordinario è ampiamente trattata dalle legislazione italiana sul lavoro ma molto spesso sia datori di lavoro che dipendenti trovano difficile ricordare nel dettaglio come funzionino questo istituto e la sua attuazione. È per questo che soffermarsi con attenzione sui cavilli di questo argomento è quanto mai importante.

In questo articolo capiamo meglio cosa sono gli straordinari, quando e perché possono essere utilizzati e come funziona la tassazione degli straordinari.

Sommario

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Cos’è la tassazione degli straordinari? Significato e regolamentazione

Partiamo dall’inizio. Cosa si intende per lavoro straordinario? A definirlo è il decreto legislativo 66/2003 che regola la disciplina del lavoro straordinario: “Il lavoro straordinario è il lavoro prestato oltre l’orario normale di lavoro così come definito all’articolo 3”.

Sempre il decreto legislativo fissa il normale orario di lavoro in in 40 ore settimanali indicando inoltre che “i contratti collettivi di lavoro possono stabilire, ai fini contrattuali, una durata minore e riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno”.

Il decreto entra nel dettaglio sulla durata massima dell’orario di lavoro agli articoli 4 e 5, specificando anche le modalità con le quali e gli straordinari si devono svolgere.

All’articolo 4, il decreto specifica che i contratti collettivi di lavoro stabiliscono la durata massima settimanale dell’orario di lavoro, la quale in ogni caso non potrà superare in media (per ogni periodo di sette giorni) le 48 ore, includendo le ore di lavoro straordinario. La durata media dell’orario lavorativo dovrà essere calcolata rispetto a un periodo non superiore ai quattro mesi, anche se i contratti collettivi collettivi hanno la facoltà di aumentare tale limite fino ai 6 o ai 12 mesi. Questo, solo nel caso di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro, specificate negli stessi contratti.

Se vengono superate e 48 ore settimanali di lavoro, attraverso prestazioni di lavoro straordinario, la legge stabilisce che le imprese con più di dieci dipendenti saranno tenute a informare, alla scadenza del periodo di riferimento, la Direzione Provinciale del Lavoro (o l’equivalente organo di Ispezione del Lavoro competente per il territorio) secondo le modalità e i termini stabiliti dallo specifico contratto collettivo.

L’articolo 5, esamina un passo importante stabilendo che il ricorso alla prestazione di lavoro straordinario da parte del datore di lavoro deve essere contenuto e che (ove non sia applicabile la disciplina di un contratto collettivo) verrò ammesso soltanto dopo un mutuo accordo tra il datore di lavoro e il dipendente, sempre e comunque per un periodo non superiore alle 250 ore annuali.

Altra cosa da ricordare: il lavoro straordinario non va confuso con il lavoro supplementare: quest’ultimo è riservato ai lavoratori part-time fino al raggiungimento dell’orario a tempo pieno, oltrepassato il quale le ore si vengono calcolate appunto come straordinario.

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Tassazione straordinari obbligatori: i limiti per le aziende

Come abbiamo visto, se non diversamente previsto dalla contrattazione collettiva o da accordi sindacali per salvaguardare l’integrità psico-fisica del lavoratore, il lavoro straordinario deve seguire un mutuo accordo e rispettare il limite massimo delle 250 ore annue. Questo tipo di fattispecie viene anche definita straordinario obbligatorio. Andiamo più nel dettaglio.

Quando il lavoratore non può rifiutarsi di prestare lavoro straordinario

Sempre secondo la legge, anche in assenza del consenso collettivo e/o individuale (salvo diversa disciplina collettiva) il lavoratore non può rifiutarsi di prestare lavoro straordinario obbligatorio nei seguenti casi:

  • Casi eccezionali relativi a esigenze tecnico-produttive impossibili da fronteggiare attraverso l’assunzione di altri lavoratori
  • Cause di forza maggiore, ossia “…situazioni caratterizzate da una forza esterna, inevitabile ed inarrestabile, indipendente dalla coscienza e dalla volontà umana, cui non è estraneo il criterio dell’imprevedibilità”.
  • Nei casi in cui la mancata esecuzione di prestazioni di lavoro straordinario possa dare luogo a un pericolo grave e immediato o a un danno alle persone o alla produzione
  • Eventi particolari, come mostre, fiere e manifestazioni collegate all’attività produttiva, nonché allestimento di prototipi, modelli o simili, predisposti per le stesse, preventivamente comunicati agli uffici competenti e, in tempo utile, alle rappresentanze sindacali aziendali.

Quando il lavoratore può rifiutarsi di prestare lavoro straordinario

In tutti i casi al di fuori di quelli sopra citati, il dipendente ha il diritto di rifiutarsi di prestare lavoro straordinario senza il rischio di incorrere in alcun tipo di sanzione. Va da sé, quindi, in mancanza delle condizioni “straordinarie” che abbiamo elencato, il lavoro prestato oltre il normale orario è possibile solo in caso di accordo precedente tra il datore di lavoro e il dipendente e, in ogni caso, sempre entro il limite massimo delle 250 ore annue.

Esistono, inoltre, dei casi specifici nei quali il dipendente può sempre rifiutarsi di prestare lavoro straordinario:

  • Nel caso sia uno studente-lavoratore
  • In caso di giustificato e comprovato motivo di rilevante gravità che impedisce la prestazione
  • Nel caso in cui il potere del datore di lavoro non sia stato esercitato secondo correttezza e buona fede. Un lavoratore, ad esempio, può rifiutarsi di riprendere servizio per svolgere lavoro straordinario dopo sole 8 ore dalla fine del turno (in quanto è diritto del lavoratore usufruire obbligatoriamente di un riposo di 11 ore consecutive ogni 24 ore) a meno che la richiesta del datore di lavoro non sia giustificata da ragioni aziendali prevalenti

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Quanti tipi di straordinario esistono? Ecco i più comuni

Definire il lavoro straordinario in maniera univoca è complicato. Come abbiamo detto, ogni contratto collettivo prevede diversi tipi di straordinario, come diverse sono le maggiorazioni previste come retribuzione per gli straordinari nei diversi tipi di settore.

Possiamo definire, in linea generale, alcuni tipi specifici di straordinario che, come detto, possono ricevere una disciplina diversa in base al settore di riferimento:

  • Straordinario entro la 48ma ora: si tratta del lavoro prestato oltre la normale soglia delle 40 ore, ma non in eccedenza rispetto alla durata media massima prevista dal dslg. 66/2003, ovvero 48 ore
  • Straordinario oltre la 48ma ora: si tratta del lavoro prestato oltre la soglia della durata media massima prevista dal d’lgs. 66/2003, ovvero 48 ore
  • Lavoro straordinario notturno: si tratta del lavoro straordinario prestato nelle ore notturne, quindi non all’interno della classica giornata lavorativa
  • Lavoro straordinario festivo: si tratta del lavoro straordinario prestato nelle giornate non lavorative, in concomitanza di festività
  • Lavoro straordinario notturno con riposo compensativo: equiparabile al lavoro straordinario notturno ma nei casi in cui viene previsto un riposo compensativo per il lavoratore, in base al tipo di prestazione fornita
  • Lavoro straordinario festivo con riposo compensativo: equiparabile al lavoro straordinario festivo ma nei casi in cui viene previsto un riposo compensativo per il lavoratore, in base al tipo di prestazione fornita

Retribuzione straordinari in busta paga: come funziona?

Anche se dovrebbe essere dato per scontato, è importante ricordare che la retribuzione delle ore di lavoro straordinarie non è la medesima delle ore di lavoro ordinarie. La retribuzione degli straordinari prevede, infatti, una maggiorazione rispetto al pagamento delle normali ore lavorative.

Secondo la legge di riferimento, il lavoro straordinario deve essere calcolato a parte e compensato con le maggiorazioni retributive previste dai rispettivi contratti contratti collettivi di lavoro. Oltre alla maggiorazione, i contratti collettivi possono prevedere che i lavoratori possano usufruire di riposi compensativi per gli straordinari prestati.

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Pagamento degli straordinari: le maggiorazioni

Come accennato, spetta ad ogni contratto collettivo definire la maggiorazione percentuale relativa al tipo di straordinario. Questa maggiorazione cambia in base al tipo di settore (e quindi di contratto) e al numero di ore straordinarie prestate. Per avere un’idea ecco l’esempio delle maggiorazioni previste da 3 tipi di contratto collettivo:

  • Il CCNL “Commercio e terziario” prevede una maggiorazione del 15% per il lavoro straordinario dalla 41ma alla 48ma ora settimanale, che sale al 20% per le ore eccedenti la 48ma. Fissa il 30% per lo straordinario festivo ed il 50% per lo straordinario notturno
  • Il CCNL “Turismo” prevede una maggiorazione del 20% per il lavoro festivo,del 30% per il lavoro straordinario diurno e del 60% per lo straordinario notturno
  • Il CCNL “Cooperative sociali” prevede una maggiorazione del 15% per lo straordinario feriale diurno, del 30% per lo straordinario festivo diurno e notturno e del 50% per lo straordinario festivo notturno

👉  In questo articolo tutto quello che devi sapere sui bonus in busta paga.

Straordinari in apprendistato: si possono fare?

Un interrogativo comune in merito alla disciplina del lavoro straordinario, sia per dipendenti che datori di lavoro, riguarda i lavoratori con contratto di apprendistato. La domanda che viene posta è: si possono fare straordinari quando si è in apprendistato? La risposta è sì.

Sia giovani lavoratori in apprendistato che molti responsabili delle risorse umane non hanno spesso la certezza che questo particolare tipo di contratto possa permettere al lavoratore di prestare ore di lavoro straordinario. È quindi bene ricordare che è assolutamente possibile.

Per quanto riguarda i contratti di apprendistato, nessuna categoria in particolare (incluse la qualifica e il diploma professionale, professionalizzante e l’alta formazione e ricerca) esclude a priori la possibilità di fare straordinari. Chiaramente, anche per gli apprendisti, valgono le medesime disposizioni previste dalla legge per gli altri tipi di contratto, con riferimento al decreto 66/2003.

Questo significa che i lavoratori in apprendistato possono prestare lavoro straordinario al pari degli altri dipendenti, fatto salvo il rispetto delle disposizioni previste dal CCNL di riferimento e con particolare attenzione all’età: nel caso l’apprendista non sia maggiore di età, quanto detto fin qui non trova applicazione.

Purché possibile attivare un contratto di lavoro in apprendistato per un soggetto minore di 18 anni, la legge vieta espressamente la possibilità per i minori di lavorare più di 40 ore settimanali e 8 giornaliere. Gli straordinari per gli apprendisti con meno di 18 anni sono dunque vietati, come previsto dalla legge 977/67.

👉  Se vuoi saperne di più, qui trovi un focus sui tipi di contratto di lavoro.

Tassazione straordinari: ecco come calcolarla

Eccoci arrivati alla parte relativa alla tassazione del lavoro straordinario. Come abbiamo visto, la retribuzione delle ore di lavoro straordinario varia rispetto a quella delle normali ore lavorative, e viene calcolata separatamente in base alle maggiorazioni previste dai vari CCNL, contribuendo e ad aumentare la retribuzione lorda percepita dal dipendente. Qui, per molti lavoratori, sorge spontanea la domanda:

Conviene fare straordinari?

La risposta è che, se prestati secondo quanto stabilito dalla legge, conviene sempre. Il punto è quanto conviene. Per datori di lavoro e responsabili HR è importante saper rispondere a questa domanda, per evitare che i propri dipendenti possano dubitare dell’effettivo beneficio dato dagli straordinari prestati.

Per molti esiste ancora un falso mito secondo il quale gli straordinari sarebbero soggetti a tassazione straordinaria e separata, superiore rispetto a quella applicata normalmente in busta paga. La realtà dei fatti è che la tassazione dipende dal reddito globale e dagli scaglioni di reddito IRPEF relativi. L’effettiva convenienza nel prestare straordinari, quindi, dipende dalla possibilità di sconfinare (anche di poco) nello scaglione IRPEF successivo, riducendo quindi il beneficio netto dato dalle ore di straordinario.

Per maggiore chiarezza, cerchiamo di capire meglio come funziona la tassazione degli straordinari.

straordinari busta paga

Tassazione straordinari: ecco come calcolarla in busta paga

Come accennato poco sopra, la tassazione degli straordinari dipende dal reddito lordo percepito dal lavoratore. In linea generale, per poter fare un calcolo delle tasse applicate in busta paga in caso di lavoro straordinario non è possibile considerare solo l’imponibile mensile. È necessario fare anche una proiezione su base annuale per capire quale sia lo scaglione di reddito in cui si rientrerebbe ai fini IRPEF, in quanto è questa proiezione che determina l’aliquota.

Una volta individuato lo scaglione, viene applicata l’aliquota Irpef prevista. Chiaramente, in sede di conguaglio, nel caso in cui il reddito rientri nello scaglione inferiore rispetto a quello calcolato in precedenza, verranno restituite al lavoratore le somme pagate in eccesso.

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Calcolo straordinari: un esempio pratico

Contribuendo a formare parte del reddito da lavoro dipendente, gli importi corrisposti in busta paga a titolo di straordinario sono chiaramente soggetti ad imposizione sia fiscale che contributiva. Vediamo come avviene il calcolo della tassazione sugli straordinari con un esempio pratico:

Il dipendente Carlo, che percepisce una retribuzione lorda mensile di 2000€. Nel mese di novembre, Carlo ha svolto 8 ore di straordinario (quindi entro la soglia della 48ma ora). Rientra nel CCNL “Terziario e Commercio”, che prevede per queste ore una maggiorazione retributiva del 15%.

Ipotizziamo, quindi, che l’importo della maggiorazione sia di 115€ lordi. Sommando l’importo al normale reddito lordo avremmo l’imponibile lordo su cui calcolare contributi e tasse. Quindi:

L’imponibile di novembre per Carlo sarà di 2000 + 115 = 2115€.

La contribuzione previdenziale INPS ordinaria a carico del lavoratore è del 9,19%. Procediamo al calcolo dei contributi:

2000 * 9,19% = 183,80€

Come sappiamo, i contributi previdenziali non concorrono a formare il reddito imponibile, e vanno quindi dedotti per poter calcolare le tasse. L’imponibile fiscale sarà quindi:

2000 + 115 – 183,80 = 1931,20€

Ricordiamo che le imposte sono da calcolarsi in base agli specifici scaglioni IRPEF calcolate in base a diversi scaglioni di reddito. Per semplificare inventiamo, ipotizzando un’aliquota nominale fissa del 27%:

1931,20 * 27% = 444,18€

Sempre per semplificare il calcolo della tassazione relativa, poniamo l’ipotesi che Carlo abbia rinunciato a tutte le detrazioni IRPEF da lavoro dipendente, che contribuiscono all’abbassamento dell’imponibile fiscale. In questo caso, la retribuzione netta di Carlo per il mese di novembre sarà:

2000 + 115 – 183,80 – 444,36 = 1486,84€

Ribadiamo che questo calcolo rappresenta una semplificazione, ma la logica rimane. Come puoi notare, l’applicazione della maggiorazione per le ore di lavoro straordinarie prestate da Carlo non ha in alcun modo portato ad un applicazione di un’aliquota particolare o di una tassazione separata.

Lo straordinario ha semplicemente aumentato l’importo dell’imponibile fiscale il quale (non applicando tutte le semplificazioni che abbiamo usato) potrebbe far ricadere parte del reddito in uno scaglione IRPEF più alto, aumentando quindi l’importo delle tasse.

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Isotta è Content Marketing Specialist in Factorial ed è appassionata di comunicazione, copywriting, social media e HR. Ama la natura, viaggiare e giocare a pallavolo.

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