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Permessi di allattamento durante l’orario di lavoro: che cosa sono e come gestirli in azienda

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8 minuti di lettura

Vuoi sapere quali sono i tuoi obblighi e le tue opportunità in materia di permessi per allattamento?

I permessi per allattamento sono delle ore di riposo giornaliere che consentono ai tuoi dipendenti genitori di assentarsi dal lavoro per prendersi cura dei loro bambini fino al primo anno di età.

Si tratta di una tutela prevista dal D.Lgs. n. 151/2001 a favore della maternità e della paternità; riconosce il ruolo fondamentale dei genitori nella crescita e nello sviluppo dei figli.

I permessi per allattamento possono spettare sia alla madre che al padre in base a determinati requisiti e condizioni. I permessi sono retribuiti al 100% dall’INPS, anche se dovrai anticipare tu la somma e poi richiederne il rimborso.

Sono validi anche in caso di adozione o affidamento, e sono retribuiti al 100% dall’INPS — anche se dovrai anticipare tu l’indennità e poi richiederne il rimborso.

In questo articolo ti daremo tutte le risposte che cerchi sui permessi per allattamento. Vedremo cos’è il permesso per allattamento, chi ne ha diritto, le sanzioni previste in caso di violazione di questo diritto, e come si calcola la retribuzione del permesso per allattamento e come si presenta la comunicazione all’INPS.

Sommario

Che cos’è il permesso di allattamento

Il permesso di allattamento è una pausa retribuita che i genitori lavoratori dipendenti possono usufruire durante la giornata lavorativa per dedicarsi alla cura del figlio nel suo primo anno di vita.

Lo scopo della legge che prevede il permesso di allattamento — il già citato Decreto Legislativo numero 151 del 2001 — è di tutelare il benessere del bambino e di favorire il legame affettivo con i genitori, riconoscendo il loro ruolo fondamentale nella sua crescita e nello sviluppo.

Il permesso di allattamento comporta anche dei benefici sociali, sia per le famiglie che per la tua azienda:

Tutti questi aspetti contribuiscono a migliorare la qualità della vita dei genitori e dei bambini, a rafforzare il legame familiare e a sostenere lo sviluppo economico e sociale del Paese, nonché a creare un’immagine aziendale più responsabile e attrattiva per i talenti. Concedere i permessi per allattamento ai propri dipendenti significa dimostrare sensibilità verso le loro esigenze familiari e riconoscere il valore della genitorialità.

Nonostante si chiami permesso per allattamento, in realtà non è necessario che la madre allatti il figlio per poterne beneficiare. Infatti, il permesso spetta anche se la madre non allatta o se il padre si occupa del bambino.

L’importante è che il permesso sia utilizzato per la cura e la custodia del figlio e non per altri scopi.

Ora vediamo chi ha diritto a usufruire delle ore di allattamento e quali sono le condizioni per ottenerle.

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Chi ha diritto ai permessi per allattamento

I permessi per allattamento spettano ai genitori lavoratori dipendenti, sia pubblici che privati, che abbiano un rapporto di lavoro in corso e un figlio nato da poco. Possono essere richiesti sia dalla madre che dal padre, ma non possono essere fruiti contemporaneamente da entrambi.

Ecco come funzionano:

  • La madre ha diritto ai permessi per allattamento dopo aver terminato il periodo di congedo obbligatorio per maternità e fino al primo anno di vita del bambino. Se la madre non fruisce dei permessi per allattamento, il padre può richiederli al suo posto.
  • Il padre ha diritto ai permessi per allattamento anche se la madre è lavoratrice autonoma, disoccupata o casalinga. Non importa se la madre percepisce o meno l’indennità di maternità.

I permessi per allattamento valgono per qualsiasi modalità di lavoro, sia essa in ufficio, ibrida, o in smart-working. La mamma in smart working ha lo stesso diritto a interrompere la sua attività per dedicarsi al figlio e non può essere contattata dal datore di lavoro durante le ore di riposo.

Questi permessi spettano anche ai genitori adottivi o affidatari entro il primo anno dall’ingresso in famiglia del minore. In questo caso, i permessi decorrono dalla data dell’adozione o dell’affidamento e non dalla data di nascita del bambino.

Permesso di allattamento: quanto dura

Il permesso di allattamento ha una durata variabile a seconda dell’orario di lavoro previsto dal contratto del genitore richiedente.

In particolare, i permessi sono pari a:

  • Due ore al giorno (anche cumulabili) se l’orario giornaliero è pari o superiore a sei ore;
  • Un’ora al giorno se l’orario giornaliero è inferiore a sei ore.

Questi valori raddoppiano in caso di parto gemellare o plurimo, quindi 4 ore per giornate lavorative da 6 ore o più, e 2 ore negli altri casi.

I permessi devono essere concordati tra il genitore e il datore di lavoro, oppure fissati dalla Direzione Provinciale del Lavoro in caso di mancato accordo.

Le ore di allattamento a lavoro spettano fino al primo anno di vita del bambino o entro il primo anno dall’ingresso in famiglia del minore adottivo o affidatario.

Il permesso di allattamento si aggiunge al congedo di maternità, che dura cinque mesi e può essere usufruito in parte prima e in parte dopo il parto. Per esempio, se la madre partorisce a marzo e inizia il congedo a gennaio, potrà stare in congedo fino a maggio. Da giugno fino a marzo dell’anno successivo avrà diritto a due ore di permesso al giorno per l’allattamento, previste dalla legge.

Il permesso di allattamento è un diritto riconosciuto dalla legge e non può essere negato dal datore di lavoro. Tuttavia, in alcuni casi, il genitore che ne fa richiesta può incontrare delle difficoltà o delle resistenze. Vediamo quindi cosa dice la normativa in merito al permesso di lavoro negato per allattamento.

Permesso di lavoro negato: cosa dice la normativa

Innanzitutto, ricordiamo che i permessi per allattamento sono un diritto potestativo in capo al genitore. Questo significa che il genitore ha la potestà — ossia la capacità, ma non l’obbligo — di scegliere se usufruirne o meno; per cui, un’eventuale rinuncia del genitore all’allattamento sul lavoro non comporta nessuna sanzione per la tua azienda.

La normativa detta un iter specifico da seguire per entrambe le parti:

  • Il genitore deve presentare domanda per la fruizione dei permessi prima del periodo di riposo e deve comunicare eventuali variazioni riguardanti le ore di assenza.
  • Il datore di lavoro ha l’obbligo di concedere i permessi per allattamento al genitore che ne fa richiesta, secondo le modalità previste dalla legge.

Il datore di lavoro non può opporsi alla fruizione dei permessi né pretendere che il genitore li recuperi con straordinari o altre forme di flessibilità. Né può discriminare il genitore che usufruisce dei permessi per allattamento o pregiudicare la sua carriera o retribuzione.

In caso di permesso di allattamento negato, puoi incorrere in sanzioni amministrative e penali. In particolare, l’articolo 54 del D.Lgs. n. 151/2001 prevede una sanzione amministrativa da 516 a 5.164 euro per ogni violazione, mentre l’articolo 55 dello stesso decreto prevede una sanzione penale da sei mesi a un anno di reclusione per chi impedisce o limita la fruizione dei permessi per allattamento.

Il genitore che subisce una violazione dei suoi diritti può rivolgersi alla Direzione Provinciale del Lavoro o al sindacato per segnalare il fatto e chiedere tutela. In caso di controversia, può anche agire in sede giudiziaria per ottenere il risarcimento del danno.

Ora che abbiamo visto cosa dice la normativa sul permesso di lavoro negato per allattamento, vediamo un altro aspetto importante: Il calcolo della retribuzione del permesso di allattamento.

Retribuzione del permesso di allattamento

Il permesso di allattamento è un diritto retribuito; il genitore che usufruisce di questo diritto non perde il suo stipendio per le ore di assenza dal lavoro.

Ma la retribuzione del permesso di allattamento non è a carico del datore di lavoro, bensì dell’INPS, che eroga al genitore una indennità pari alla retribuzione media giornaliera percepita nei due mesi precedenti l’inizio del permesso.

Facciamo un esempio pratico. Supponiamo che una madre lavoratrice dipendente usufruisca di due ore al giorno di permesso di allattamento da giugno a settembre. Supponiamo anche che la sua retribuzione media giornaliera nei due mesi precedenti l’inizio del permesso sia stata di 100 euro. In questo caso, il calcolo dell’indennità sarà il seguente:

  • Indennità giornaliera = retribuzione media giornaliera x ore di permesso / ore di lavoro giornaliere
  • Indennità giornaliera = 100 x 2 / 8 = 25 euro
  • Indennità mensile = indennità giornaliera x giorni lavorativi nel mese
  • Indennità mensile = 25 x 22 = 550 euro (supponendo 22 giorni lavorativi al mese)
  • Indennità totale = indennità mensile x mesi di fruizione dei permessi
  • Indennità totale = 550 x 4 = 2200 euro

Quindi, la madre lavoratrice avrà diritto a un’indennità totale di 2200 euro per il periodo di fruizione dei permessi di allattamento.

L’indennità spetta al genitore che usufruisce del permesso di allattamento, a prescindere dal sesso e dalla condizione lavorativa. Quindi, possono richiederla sia la madre che il padre, sia i lavoratori dipendenti che i lavoratori autonomi.

Se il calcolo ti sembra troppo complicato, puoi semplificarlo usando un software come Factorial.

Ora che abbiamo visto come si calcola l’indennità per i permessi di allattamento, vediamo come si deve richiedere il permesso di allattamento. Quali sono i passaggi da seguire e quali documenti sono necessari? Vediamolo nella prossima sezione.

Come deve essere richiesto il permesso di allattamento

Per usufruire dei permessi per allattamento, il genitore deve presentare una domanda all’INPS e al datore di lavoro.

Questa domanda deve essere fatta prima dell’inizio della fruizione dei permessi e deve comunicare le ore e i giorni di assenza previsti; può essere presentata online sul sito dell’INPS o presso uno sportello dell’istituto; e deve essere fatta entro il termine di prescrizione, che è di un anno dal giorno in cui si ha diritto ai permessi.

La prima differenza importante è quella tra lavoratori e lavoratrici:

  • Le lavoratrici devono presentare la domanda solo al datore di lavoro, tranne nei casi in cui l’indennità viene pagata direttamente dall’INPS (ad esempio, per le lavoratrici domestiche o agricole).
  • I lavoratori devono presentare la domanda sia al datore di lavoro che all’INPS in tutti i casi in cui hanno diritto ai permessi per allattamento (ad esempio, se la madre non è una lavoratrice dipendente o se non si avvale del congedo parentale ad ore, oppure se il figlio è affidato esclusivamente al padre o se la madre è morta o gravemente malata).

La domanda deve essere accompagnata da alcuni documenti:

  • Il certificato di nascita del figlio o l’atto di adozione o affidamento;
  • Il codice fiscale del figlio;
  • Il codice fiscale del genitore richiedente;
  • La dichiarazione sostitutiva di atto notorio che attesti la rinuncia della madre ai permessi per allattamento (se il richiedente è il padre);
  • L’autocertificazione che attesti la situazione lavorativa della madre (se il richiedente è il padre).

Una volta presentata la domanda, l’INPS provvede a verificare i requisiti e ad erogare l’indennità per i permessi per allattamento. Il datore di lavoro non può negare i permessi né discriminare il genitore che ne fa uso.

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Content Writer specializzato nella scrittura di contenuti per le aziende software. Ha collaborato con aziende Italiane ed internazionali per dar loro una voce che si distinguesse nel chiasso di internet. Vive a Morbegno, un paese in provincia di Sondrio. La lettura è la sua più grande passione; economia, filosofia, e storia sono i suoi principali campi di interesse, ma c'è sempre anche un romanzo aperto sul suo Kindle.

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