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Gestione del Talento

Presenteismo sul lavoro: cos’è e come combatterlo

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4 minuti di lettura
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Cos’è il fenomeno del presenteismo? Quali sono le migliori strategie per combatterlo in azienda?

Quella dell’engagement dei dipendenti sarà la sfida più grande che le aziende si troveranno a combattere nella prossima decade. Tra i fenomeni relazionati alla bassa produttività dei lavoratori c’è anche il presenteismo, che però rappresenta una sorta di “engagement forzato” che si rivela soltanto controproducente.

Vediamo insieme cosa si intende davvero con questo termine e quali strategie adottare in azienda per migliorare la soddisfazione e la produttività dei team.

Cosa si intende per presenteismo: significato

Il presenteismo, anche chiamato “presenzialismo“, è un fenomeno di cui si sente parlare sempre più spesso. Questo termine, di recente coniazione, è stato pensato per indicare il comportamento opposto all’assenteismo, ovvero la presenza costante dei dipendenti in azienda.

Un dipendente presenteista non manca mai sul luogo di lavoro. Questo vuol dire che sarà sempre presente fisicamente in ufficio, anche negli orari extra lavorativi oppure quando è malato o stanco.  L’altra faccia della medaglia? Questo comportamento causerà a bassa concentrazione, bassa produttività e, naturalmente, a un rischio molto più alto di burnout lavorativo.

Come sottolinea anche l’Harvard Business Review, l’effetto sarà quindi quello opposto: nell’essere sempre presente, il lavoratore renderà peggio, oltre a innalzare i suoi livelli di stress lavorativo.

Cause del presenteismo

Cosa porta le persone a sentire il bisogno di non assentarsi mai dal lavoro? Il tema è complesso, perché questo comportamento è influenzato sia da fattori esterni sia da fattori interni. Il presenteismo, infatti, nasce da un mix di pressioni culturali, organizzative, ma anche personali.

A livello personale, ad esempio, un dipendente può essere influenzato da una responsabilità eccessiva verso il lavoro, dalla paura di essere giudicato dai colleghi per l’assenza, oppure da un’eccessiva sovrapposizione tra identità personale e lavoro, che può generare ansia in caso di assenza.

Sicuramente, però, il modo in cui un’azienda decide di comportarsi rispetto a questo modo di pensare gioca un ruolo fondamentale. Spesso, questo tipo di comportamente si generano per via di un modello organizzativo che premia implicitamente la presenza continua, anche quando non necessaria o addirittura dannosa.

Ad esempio, quando i manager rispondono alle email fuori orario, quando si elogia chi “non si ferma mai” o quando si tollera che le persone restino connesse anche in ferie o durante malattie, si manda un messaggio chiaro su ciò che davvero conta.

I costi nascosti di questo fenomeno per le aziende

Il presenteismo viene spesso confuso con l’impegno, ma la realtà è ben diversa: non solo non migliora le performance, ma nel lungo periodo può compromettere il benessere delle persone e la salute stessa dell’organizzazione.

Questo fenomeno può generare conseguenze silenziose ma profonde:

  • Aumento degli errori: la stanchezza riduce la concentrazione e incide sulla qualità del lavoro svolto
  • Rischio di burnout: turni pesanti, carichi eccessivi e poca flessibilità creano un terreno fertile per l’esaurimento fisico e mentale
  • Peggioramento del clima aziendale: quando il malessere si diffonde, calano la motivazione e la collaborazione tra colleghi
  • Turnover e difficoltà nel trattenere talenti: chi si sente costantemente sotto pressione tenderà a cercare alternative
  • Reputazione aziendale in calo: oggi più che mai, le persone valutano le aziende anche (e soprattutto) per l’attenzione al benessere

È chiaro, quindi, che questo tipo di comportamenti va prevenuto ed evitato, non solo per il bene dei lavoratori, ma anche dell’impresa stessa.

Strategie per combattere il presenzialismo

Ma cosa dovrebbe fare un’azienda per evitare questo tipo di comportamento? Il presenteismo, come abbiamo già spiegato, è complesso e non sempre può essere ricondotto esclusivamente alla cultura aziendale.

Senza dubbio, però, un primo passo importante è quello di promuovere una cultura aziendale positiva e ostracizzare comportamenti come orari straordinari eccessivi oppure presenza costante in ufficio anche di fronte a problemi di salute.

Esempi concreti di strategie per combattere questo fenomeno sono:

  • Policy chiare nel regolamento aziendale: un punto di partenza fondamentale è inserire nel regolamento interno indicazioni esplicite su come comportarsi in caso di malessere fisico o mentale. Se dipendenti e manager sanno con certezza che restare a casa quando si sta male è previsto (e incoraggiato)  dalle policy aziendali, sarà più facile liberarsi dal senso di colpa e normalizzare comportamenti più sostenibili. Il messaggio deve essere chiaro: la presenza non è sinonimo di produttività.
  • Corso sulla work-life balance: un passo più in là rispetto alle policy inserite all’interno del regolamento aziendale è quello di organizzare un breve corso di formazione sull’equilibrio vita-lavoro, in particolare nella fase di onboarding di nuovi dipendenti. Utilizzare un corso per far comprendere a pieno ai team la cultura aziendale potrebbe aiutare a prevenire comportamenti scorretti.
  • Riconoscimento pubblico di comportamenti sani: mostrare apprezzamento verso rispetta gli orari o si disconnette dopo il lavoro, oppure si prende un congedo per la salute mentale aiuta a cambiare la narrativa. Farlo nei canali pubblici aiuta a rendere visibile ciò che si vuole rendere normale.

Domande frequenti relative al presenteismo

Cosa significa presenteismo?

Il presenteismo è un fenomeno opposto all’assenteismo e indica a presenza costante di un dipendente in azienda, anche negli orari extra lavorativi oppure quando è malato o stanco.

Che cos’è il presenzialismo sul lavoro?

Il termine “presenzialismo” è un sinonimo del termine “presenteismo”, ovvero quel comportamento per cui un dipendente è sempre presente sul luogo di lavoro, anche in orario straordinario, oppure quando è malato. Questo modo di lavorare sfocia spesso nella sindrome di burnout.

Dopo anni di esperienza nel mondo dell'editoria digitale e delle start-up, attualmente vive a Barcellona, dove è copywriter per Factorial e crea contenuti per il mercato italiano. Appassionata di scrittura e letteratura, non potrebbe mai vivere senza viaggiare e senza il suo gatto.