Con l’evoluzione del lavoro agile, sempre più lavoratori chiedono di svolgere la propria attività in smartworking all’estero per periodi brevi, durante le vacanze oppure in modo stabile perché trasferiti o residenti fuori dall’Italia.
Per i datori di lavoro italiani, che possono organizzare l’attività aziendale ricorrendo al lavoro da remoto, anche su richiesta, ciò comporta una serie di obblighi legali, fiscali e assicurativi.
Cosa prevede la normativa italiana e quali sono le regole di cui tenere conto nel 2025, alla luce dell’evoluzione legislativa che c’è stata negli ultimi anni, ve lo spieghiamo nel dettaglio in questo articolo.
- Smartworking all’estero: le casistiche più frequenti
- Tutti gli obblighi del datore di lavoro (digital nomads, iscritti AIRE e residenti temporanei all’estero)
- Assumere un italiano residente all’estero
- Gestisci regolamento aziendale e contratti con Factorial
- Domande frequenti relative allo smartworking all’estero
Smartworking all’estero: le casistiche più frequenti
Nel 2025, la legge italiana distingue tra diverse tipologie di lavoro da remoto all’estero, ognuna con specifiche implicazioni, ovvero:
- Lavoratore in smart working residente all’estero in modo stabile: ad esempio un italiano iscritto all’AIRE (Agenzia Internazionale Residenti all’Estero) o un cittadino straniero assunto da un’azienda italiana ma, appunto, residente all’estero;
- Lavoratore temporaneamente all’estero: ad esempio per vacanza o soggiorni brevi, quindi quando il dipendente lavora dall’estero solo per alcune settimane. In questo caso di parla di “smartworking occasionale” e il datore ha meno obblighi formali;
- Workation o nomadi digitali: se il lavoratore decide di spostarsi più volte l’anno da un Paese all’altro, il datore deve fare attenzione a non superare i 183 giorni in uno stesso Stato, altrimenti scatta la cosiddetta residenza fiscale estera e, di conseguenza, la necessità di versare i contributi locali.
Tutti gli obblighi del datore di lavoro
A seconda del tipo di lavoratore in smartworking all’estero e della sua collocazione geografica, come abbiamo visto, gli obblighi sono diversi. Ogni scenario comporta implicazioni legali, fiscali e organizzative diverse per il datore di lavoro.
Ma procediamo con ordine, e analizziamo caso per caso.
Lavoratore in smart working residente all’estero in modo stabile
Un cittadino italiano iscritto all’AIRE e fiscalmente non residente in Italia è, a tutti gli effetti, fiscalmente residente all’estero. Di conseguenza, il datore di lavoro può non trattenere l’IRPEF dalla busta paga, perché l’imposta sul reddito si applica solo ai residenti fiscali italiani (salvo casi particolari di redditi prodotti in Italia da non residenti) e non applicare più automaticamente le norme INPS/INAIL italiane.
Tuttavia, per farlo è necessario:
- Ricevere una dichiarazione formale dal lavoratore che accerta la sua residenza fiscale estera;
- Ottenere la documentazione fiscale del Paese estero, ad esempio un certificato di residenza fiscale;
- Verificare i giorni di presenza in Italia per accertarsi che non venga superato il limite dei 183 giorni annui (criterio principale per la residenza fiscale secondo la normativa italiana).
Inoltre è importante:
- Procedere con la verifica della normativa del Paese estero in cui il lavoratore risiede, poiché potrebbero esserci ulteriori obblighi per l’azienda presso le autorità locali, sia a livello fiscale e contributivo che a livello di autorizzazioni e comunicazioni (per esempio sarebbe opportuno verifica se esiste o meno una convenzione bilaterale di sicurezza sociale tra l’Italia e il Paese interessato);
- In caso di mancata copertura INAIL, attivare una polizza assicurativa privata oppure aderire alla copertura sanitaria locale, se obbligatoria per i lavoratori residenti;
- Riconoscere una retribuzione che sia in linea con quelle convenzionali pubblicate ogni anno dal MIMIT per i lavoratori italiani all’estero.
Nel caso invece del cittadino straniero assunto da un’azienda italiana ma residente all’estero, il dipendente in smartworking all’estero non è fiscalmente residente in Italia e non lavora fisicamente in Italia, quindi:
- L’azienda italiana non deve trattenere l’IRPEF in busta paga;
- Il reddito è tassato solo nel Paese di residenza del lavoratore, secondo la convenzione contro le doppie imposizioni (se presente).
Non scattano invece gli obblighi assicurativi e contributivi INPS e INAIL. Anche in questo caso, non essendo il lavoratore coperto da INAIL, l’azienda dovrebbe attivare una copertura assicurativa privata oppure iscrivere il lavoratore al sistema sanitario locale, se richiesto.
Tuttavia, è fondamentale verificare se, in base alla normativa fiscale del Paese di residenza del lavoratore, il datore di lavoro straniero, pur non avendo una sede fisica o stabile organizzazione in loco, sia comunque tenuto a registrarsi presso le autorità fiscali locali e a versare imposte o contributi.
In molti ordinamenti, infatti, esistono obblighi fiscali e previdenziali anche per i datori esteri che impiegano residenti locali in modalità di lavoro da remoto, specialmente se il rapporto è continuativo. Trascurare tali obblighi può esporre l’azienda a sanzioni, accertamenti o al rischio di essere considerata fiscalmente operativa in quel Paese.
Lavoratore in smartworking all’estero temporaneamente
Nel caso del lavoratore in smartworking all’estero per un periodo limitato, questa è la situazione più comune per i dipendenti che si recano in vacanza o sono fuori sede per soggiorni brevi e chiedono di lavorare da remoto per alcune settimane, perché magari decidono di “prolungare” le ferie o di lavorare da casa di parenti o amici all’estero.
Questa modalità, come abbiamo detto, viene definita “smartworking occasionale” e in genere non fa scattare obblighi fiscali o contributivi in capo all’azienda, purché il soggiorno sia effettivamente breve e non superi i 183 giorni annui.
In questo caso, è comunque consigliato avere un accordo scritto con il dipendente che specifichi queste condizioni e fornire una policy aziendale per il lavoro da remoto temporaneo all’estero.
Workation e nomadi digitali
Questa modalità di lavoro da remoto che coinvolge i lavoratori che si spostano frequentemente tra Paesi diversi e lavorano per l’azienda italiana da più nazioni durante l’anno, senza un domicilio fisso, necessità di un controllo maggiore.
Prima di tutto perché se il dipendente supera i 183 giorni in uno stesso Stato estero può scattare la residenza fiscale estera e il datore potrebbe essere obbligato a registrarsi presso le autorità fiscali locali o a versare contributi estero.
Per gestire questo scenario diventa pertanto fondamentale dotarsi di un regolamento aziendale per il lavoro da remoto all’estero e richiedere ai lavoratori di comunicare in anticipo destinazioni e durate dei soggiorni, valutando anche se è il caso di farsi assistere da consulenti del lavoro esperti in expat e fiscalità internazionale.
Assumere un italiano residente all’estero
Nel contesto attuale, se un’azienda italiana intende assumere un lavoratore italiano residente all’estero può farlo, nel rispetto degli obblighi sopra elencati, ricorrendo a un tipo di contrattazione che può seguire la normativa italiana oppure quella estera.
Quindi, nel caso di contratto regolato dalla normativa italiana ma adattato al lavoro estero, questa è una scelta possibile, soprattutto se il lavoratore mantiene legami forti con l’Italia (es. cittadinanza italiana, cultura d’impresa condivisa, inquadramento in CCNL italiani). Tuttavia, è indispensabile specificare:
- Che il lavoro si svolge da remoto e all’estero;
- Che l’azienda non esercita poteri organizzativi nello Stato estero (per evitare la creazione involontaria di una stabile organizzazione);
- Quali normative si applicano (contrattuali, previdenziali e fiscali);
- Come vengono gestite ferie, malattia, assicurazione e sicurezza.
Qualora si intenda stipulare un contratto regolato dalla normativa del Paese estero dove risiede il lavoratore, bisogna rivolgersi a una società estera collegata (EOR) che funge da datore di lavoro legale e si occupa della gestione del contratto di lavoro, inclusi paghe, tasse, benefit e conformità normativa, mentre l’azienda italiana viene inquadrata come cliente e si occupa della gestione quotidiana del dipendente.
In alternativa, se l’azienda dispone di una filiale o società collegata nel Paese estero, può assumere il lavoratore tramite contratto locale, evitando rischi di natura fiscale o giuslavoristica.
Ovviamente, se si tratta di contratto italiano, si può continuare ad applicare il CCNL italiano, ma con attenzione alle retribuzioni convenzionali (utili a determinare imponibile fiscale e contributivo nei casi previsti). Se invece si opta per un contratto locale (via EOR o filiale), la retribuzione seguirà i minimi salariali e le regole locali.
Gestisci regolamento aziendale e contratti con Factorial
Per garantire uniformità e trasparenza nella gestione dello smartworking all’estero, molte aziende italiane nel 2025 adottano soluzioni digitali come Factorial, un software di gestione aziendale che consente di:
- Creare e condividere regolamenti aziendali sul lavoro da remoto (incluso quello internazionale);
- Raccogliere firme digitali su contratti e accordi;
- Tenere traccia delle trasferte, delle presenze e delle richieste di permesso o workation;
- Gestire la documentazione necessaria (moduli A1, accordi individuali, policy di sicurezza IT ecc).
Factorial, può supportarti anche nell’assunzione dei nuovi dipendenti, grazie al software ATS integrato con AI che semplifica e centralizza i processi e velocizza le comunicazioni con i candidati.
👉 Chiedi una demo gratuita e scopri tutte le funzionalità e i vantaggi che un software come Factorial può portare alla tua azienda.
Domande frequenti sullo smartworking all’estero
Come si calcolano le retribuzioni convenzionali per i lavoratori all’estero?
Ogni anno il MIMIT pubblica una tabella con le retribuzioni convenzionali da applicare ai lavoratori italiani operanti all’estero in regime di detassazione. Si usa per calcolare imposte e contributi in assenza di busta paga locale.
In quali casi il datore di lavoro può sospendere le ritenute fiscali IRPEF?
Quando un lavoratore risiede fiscalmente all’estero e ne dà prova (es. iscrizione AIRE, permanenza >183 giorni, convenzione fiscale applicabile), il datore può sospendere le ritenute su richiesta, per evitare la doppia imposizione.
Come verificare gli obblighi di registrazione fiscale all’estero?
Va valutato se la presenza del dipendente crea una stabile organizzazione o un obbligo di registrazione come datore estero. È consigliato rivolgersi a un consulente fiscale internazionale o a un EOR provider.
Ci sono obblighi fiscali per il datore di lavoro se un dipendente è in smart working all’estero?
Sì, se il dipendente lavora all’estero per periodi lunghi o in modo stabile, il datore potrebbe dover pagare imposte locali, registrarsi come sostituto d’imposta nel Paese estero, oppure rivedere il contratto di lavoro.