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Gestione del personale

Licenziamento concordato: come funziona la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro

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Nel mondo del lavoro, la fine del rapporto tra datore di lavoro e dipendente può avvenire anche attraverso un accordo comune, senza imposizioni né unilaterali decisioni. Questo strumento è la risoluzione consensuale o, più comunemente, licenziamento concordato.

Vediamo come funziona, quali sono le differenze rispetto alle dimissioni volontarie e quali effetti ha su buonuscita e indennità di disoccupazione NASpI.

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Cosa si intende per licenziamento concordato

Il licenziamento concordato consiste nella risoluzione consensuale del rapporto di lavoro (individuata nell’art. 1372 del Codice Civile). È, cioè, una forma di cessazione che avviene per accordo tra le parti, per cui datore di lavoro e lavoratore decidono insieme di concludere il contratto. 

È una soluzione alternativa al licenziamento o alle dimissioni e può essere utile in diversi casi: riorganizzazione aziendale, uscita agevolata di personale senior, piani di incentivo all’esodo.

La procedura è regolamentata dall’art. 26 del D.Lgs. 151/2015, con il quale è stato stabilito che se un lavoratore decide di dimettersi o di risolvere consensualmente il rapporto di lavoro con il datore (ossia accordarsi per chiudere il contratto), deve farlo obbligatoriamente usando una procedura telematica,  disponibile sul sito del Ministero del Lavoro (www.lavoro.gov.it). In caso contrario l’accordo raggiunto è considerato nullo. 

Se il datore di lavoro manomette o altera i moduli di dimissioni/risoluzione telematici, rischia una multa da 5.000 a 30.000 euro.

Inoltre, bisogna ricordare che la risoluzione consensuale del rapporto presentata dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. A questa stessa convalida è condizionata l’efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro. 

Differenza tra dimissioni e risoluzione consensuale

Sebbene entrambe comportino l’interruzione del contratto di lavoro, le differenze tra le dimissioni e la risoluzione consensuale (licenziamento concordato) sono sostanziali e hanno implicazioni pratiche rilevanti sia per il lavoratore sia per il datore di lavoro.

Le dimissioni rappresentano un atto unilaterale: è il lavoratore, infatti, a decidere autonomamente di interrompere il rapporto, senza necessità del consenso del datore di lavoro. Per rendere ufficiali le dimissioni, è obbligatoria la procedura telematica attraverso il portale Cliclavoro, introdotta per garantire la volontarietà dell’atto ed evitare dimissioni forzate. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, chi si dimette non ha diritto alla NASpI, ovvero all’indennità di disoccupazione, salvo eccezioni particolari (come le dimissioni per giusta causa).  

La risoluzione consensuale, invece, si basa su un accordo bilaterale: lavoratore e datore di lavoro decidono insieme di concludere il rapporto. Anche in questo caso è prevista una tutela formale della volontà delle parti, che si concretizza nella convalida dell’accordo presso il Centro per l’Impiego oppure tramite apposita procedura telematica. A differenza delle dimissioni, la risoluzione consensuale consente, se correttamente convalidata, di accedere alla NASpI. Inoltre, spesso questo tipo di cessazione è accompagnato da un incentivo all’esodo, cioè un corrispettivo economico concordato tra le parti per favorire la chiusura consensuale del contratto.

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Come funziona la buonuscita nel licenziamento concordato

La buonuscita (o incentivo all’esodo) anche se non è obbligatoria per legge è spesso parte integrante di un accordo di risoluzione consensuale.

É una somma di denaro che il datore di lavoro offre al lavoratore come incentivo per accettare di terminare volontariamente il rapporto di lavoro, cui importo:

  • può essere stabilito liberamente dalle parti, in base all’anzianità del lavoratore, al livello e ruolo ricoperto e alla volontà dell’azienda di evitare contenziosi;
  • viene tassato con imposizione separata (art. 17, comma 1, lettera a del TUIR). 

In altre parole, anche se non è un diritto automatico, le parti spesso concordano una buonuscita come parte dell’accordo per chiudere il rapporto “senza conflitti” e con reciproca soddisfazione.

Tuttavia, l’aver riconosciuto una buonuscita in caso di cessazione consensuale non esula il datore di lavoro a versare il ticket NASpI (ai sensi dell’art. 2, comma 31, Legge 92/2012), come avviene nei licenziamenti.

Infatti, il ticket NASpI è un contributo economico che il datore di lavoro deve versare all’INPS ogni volta che si conclude un rapporto di lavoro in modo involontario, come nei licenziamenti (anche se concordati), perché serve a finanziare l’indennità di disoccupazione (NASpI) che andrà al lavoratore.

Risoluzione consensuale e NASpI

In generale, il lavoratore che si dimette volontariamente non ha diritto alla NASpI. Questo perché la disoccupazione deve essere “involontaria”, mentre le dimissioni sono considerate una scelta autonoma.

L’unica eccezione riguarda le dimissioni per giusta causa, ossia situazioni particolari in cui il lavoratore è costretto a lasciare il posto di lavoro per motivi gravi, come mancato pagamento dello stipendio o mobbing.

La situazione è diversa nel caso della risoluzione consensuale. Se questa avviene seguendo una procedura corretta — quindi attraverso la procedura telematica ufficiale — il lavoratore può richiedere la NASpI.

La legge considera infatti il licenziamennon come una scelta volontaria pura, ma come un accordo che può nascere anche da esigenze aziendali o da situazioni particolari, equiparandola quindi a una perdita involontaria del lavoro.

Questo principio è stato chiarito in modo ufficiale dalla Circolare INPS n. 94/2015, che ha precisato i casi in cui la risoluzione consensuale consente l’accesso alla NASpI.

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Domande frequenti relative al licenziamento concordato

Qual è la differenza tra dimissioni e risoluzione consensuale?

La principale differenza sta nella modalità di cessazione: le dimissioni sono una decisione unilaterale del lavoratore, mentre la risoluzione consensuale è un accordo tra lavoratore e datore di lavoro, con vantaggi in termini di accesso alla NASpI.

Come funziona il licenziamento consensuale?

Dopo aver raggiunto un accordo, la cessazione del rapporto deve essere convalidata tramite procedura telematica sul portale del Ministero del Lavoro, oppure recandosi personalmente al Centro per l’Impiego.

Cosa paga il datore di lavoro in caso di risoluzione consensuale?

Il datore di lavoro deve: liquidare il TFR (Trattamento di Fine Rapporto), pagare eventuali ferie non godute, versare il ticket NASpI all’INPS e infine riconoscere, se pattuito, un incentivo all’esodo.

Dove fare la risoluzione consensuale?

La risoluzione consensuale deve essere convalidata online, tramite il portale Cliclavoro, oppure direttamente presso il Centro per l’Impiego competente. 

Consulente del lavoro ed esperta di Fisco, Tasse e Diritto. Laureata in Scienze dell'Amministrazione e dell'Organizzazione presso l'Università di Palermo, dal 2016, mi occupo principalmente di scrittura su temi legati a Previdenza, Economia e Lavoro, con un focus sull'attualità e i temi caldi. La mia curiosità e passione mi spinge al costante aggiornamento e un’analisi approfondita delle dinamiche di cui tratto. Scrivo perché quando lo faccio ho l'impressione di stare al posto giusto nel momento giusto