Il contratto a tutele crescenti, introdotto nel 2015 nell’ambito della riforma avviata dal Jobs Act, rappresenta una delle principali innovazioni nel mercato del lavoro italiano degli ultimi anni.
Col fine di semplificare le procedure in caso di cessazione del rapporto di lavoro, la normativa ha definito un sistema uniforme di tutele in caso di licenziamento, prevedendo in questi casi un un indennizzo calcolato e riconosciuto in base all’anzianità di servizio.
Ma vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.
- Che cos’è il contratto a tutele crescenti
- Come funziona il CTC
- A chi si applica il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti
- Il licenziamento nel contratto a tutele crescenti
- Gestisci contratti e assunzioni con Factorial
- Domande frequenti relative al contratto a tutele crescenti
Che cos’è il contratto a tutele crescenti
Introdotto con il Decreto legislativo n. 23 del 4 marzo 2015, il contratto a tutele crescenti (CTC) è una particolare forma di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, perché, pur rientrando nella tipologia standard del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, applica una disciplina specifica in materia di licenziamento ai lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore del decreti).
Il termine “a tutele crescenti” fa riferimento al calcolo dell’indennità riconosciuta ai lavoratori in caso di licenziamento, il cui ammontare è parametrato all’anzianità di servizio maturata dal dipendente fino alla cessazione del rapporto di lavoro.
Come funziona il CTC
Con il contratto a tutele crescenti il lavoratore ha un contratto a tempo indeterminato che è disciplinato in modo autonomo dal Decreto legislativo n. 23/2015, che ha introdotto un sistema autonomo di tutele in caso di licenziamento illegittimo, diverso da quello previsto dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
In particolare, in caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo, non si applica la reintegrazione automatica (salvo eccezioni), ma un’indennità economica che aumenta con l’anzianità di servizio. E questo è proprio il tratto distintivo rispetto al contratto “classico” a tempo indeterminato.
Il contratto, dunque, cerca di bilanciare la flessibilità per le imprese con la protezione crescente del lavoratore man mano che cresce l’anzianità in azienda.
A chi si applica il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti
Dal 7 marzo 2015, tutti i nuovi contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato rientrano automaticamente nella disciplina del contratto a tutele crescenti se stipulati in aziende con più di 15 dipendenti.
Nel dettaglio, il contratto a tutele crescenti si applica:
- Ai lavoratori assunti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015 in poi;
- Ai lavoratori trasformati da contratto a termine o da apprendistato, se la trasformazione è avvenuta dopo il 7 marzo 2015;
- Anche nei casi di cambio di datore di lavoro a seguito di trasferimento d’azienda.
Restano invece esclusi i lavoratori già assunti a tempo indeterminato prima del 7 marzo 2015, i quali continuano a essere tutelati dal regime previgente dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Inoltre, nei casi in cui il datore di lavoro ha fino a 15 dipendenti, il contratto a tutele crescenti (CTC) si applica comunque ai lavoratori assunti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015, ma con un regime di tutele differenziato.
Ovvero, l’indennità risarcitoria prevista è ridotta rispetto a quella applicata nelle aziende sopra i 15 dipendenti (da 2 a 6 mensilità, invece di 3 a 6 mensilità per ogni anno di anzianità, come avviene nei datori di lavoro più grandi).
Il licenziamento nel contratto a tutele crescenti
Di fatto con il Jobs Act il legislatore ha ridefinito e limitato il ricorso alla reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, privilegiando con il contratto a tutele crescenti un meccanismo di tipo indennitario.
Nel dettaglio, il legislatore ha previsto che in caso di licenziamento dichiarato illegittimo il datore di lavoro non è tenuto, salvo specifici casi, a reintegrare il dipendente, ma deve corrispondere un’indennità economica.
L’importo è pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio e può essere di minimo di 6 e massimo 36 mensilità (art. 3 del D.lgs. 23/2015).
La reintegrazione nel posto di lavoro, che nel regime precedente era più frequente, è stata limitata a casi eccezionali, ovvero:
- Licenziamento discriminatorio o nullo, ossia effettuato per motivi legati a età, sesso, orientamento politico o religioso, maternità, e in tutti gli altri casi vietati dalla legge;
- Licenziamento disciplinare basato su un fatto materiale insussistente, cioè quando il motivo addotto dall’azienda risulta inesistente in sede giudiziale.
Inoltre, per favorire una risoluzione anticipata delle controversie, si può anche ricorrere alla procedura di conciliazione agevolata (art. 6 del D.lgs. 23/2015). Il datore di lavoro, cioè, in caso di licenziamento, al fine di evitare il giudizio, può offrire al lavoratore (entro i termini di impugnazione stragiudiziale), un importo che non costituisce reddito imponibile e non è assoggettato a contribuzione previdenziale (quindi esentasse), di ammontare pari a una mensilità della retribuzione per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 3 e non superiore a 27 mensilità, mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare.
L’accettazione dell’assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta. Mentre le eventuali ulteriori somme pattuite nella stessa sede conciliativa a chiusura di ogni altra pendenza derivante dal rapporto di lavoro sono soggette al regime fiscale ordinario.
La conciliazione agevolata, quindi, rappresenta una soluzione alternativa per chiudere in via stragiudiziale un rapporto di lavoro. Invece di affrontare un possibile contenzioso giudiziario per licenziamento illegittimo, con i relativi tempi, costi e incertezze, il datore di lavoro può offrire al lavoratore una somma predeterminata, che consente di contenere il rischio economico rispetto all’indennità eventualmente riconosciuta dal giudice (che può arrivare fino a 36 mensilità).
Questa impostazione mira a bilanciare la tutela del lavoratore con l’esigenza di maggiore flessibilità per le imprese, offrendo un quadro normativo più prevedibile e lineare nella gestione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato.
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Domande frequenti relative al contratto a tutele crescenti
Che cosa prevede il decreto legislativo n. 23/2015?
Il D.lgs. 23/2015 disciplina il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, prevedendo un sistema di tutele economiche progressive in caso di licenziamento illegittimo e limitando i casi di reintegrazione rispetto alla disciplina precedente.
Per quale tipo di licenziamento è prevista in ogni caso la reintegrazione nel contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti?
La reintegrazione è sempre prevista nei casi di licenziamento nullo (per esempio, per motivi discriminatori) o in presenza di licenziamento disciplinare basato su un fatto materialmente inesistente.
Cosa calcola il contratto a tutela crescente?
Il contratto prevede che, in caso di licenziamento illegittimo, il lavoratore abbia diritto a una indennità economica proporzionale agli anni di servizio, pari a 2 mensilità per ogni anno di anzianità, con un minimo e un massimo previsti dalla norma.
Quando è entrato in vigore il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti?
Il contratto è entrato in vigore il 7 marzo 2015, data in cui è diventato applicabile ai nuovi assunti secondo quanto stabilito dal Jobs Act.
Quanto tempo deve passare tra un’assunzione e un licenziamento?
La legge non stabilisce un tempo minimo tra assunzione e licenziamento, ma l’anzianità di servizio incide direttamente sull’ammontare dell’indennità spettante al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo.
Perché si chiama contratto a tutele crescenti?
Si chiama così perché le tutele previste aumentano con l’aumentare dell’anzianità di servizio del lavoratore. A differenza del regime precedente, non si applica automaticamente la reintegrazione ma si privilegia il risarcimento economico.