La gestione della reperibilità a lavoro implica il rispetto di tutta una serie di obblighi che hanno implicazioni rilevanti, sia per le aziende che per i lavoratori.
Essere reperibili fuori dall’orario di lavoro significa, in sostanza, restare a disposizione per eventuali esigenze improvvise, pur non essendo formalmente in servizio. Per questo motivo, nel 2025, la gestione della reperibilità continua a rappresentare una sfida organizzativa e giuridica per le aziende, che hanno precisi doveri da rispettare, per evitare sanzioni e contenziosi.
Per capire meglio come funziona, vediamo cosa significa davvero essere reperibili, qual è la normativa di riferimento, cosa devono sapere i datori di lavoro e quali diritti hanno i lavoratori.
- Cosa si intende per reperibilità?
- Cosa dice la legge sulla reperibilità lavorativa
- Indennità di reperibilità: quanto pagare i dipendenti?
- Reperibilità non pagata: i rischi per il datore di lavoro
- Obblighi e diritti dei dipendenti
- Consigli utili per le aziende: come gestire al meglio la reperibilità
- Gestisci orari, turni e rilevazione presenze con Factorial
- Domande frequenti sulla reperibilità lavorativa
Cosa si intende per reperibilità?
Quando parliamo di reperibilità ci riferiamo a una situazione in cui il lavoratore, pur trovandosi fuori dall’orario normale di lavoro e non essendo fisicamente in azienda, si impegna a essere disponibile a intervenire in caso di chiamata. È una forma di disponibilità potenziale: non si lavora, ma si rimane pronti a farlo qualora fosse necessario.
A scanso di equivoci, è bene chiarire da subito che la reperibilità non è considerata tempo di lavoro in senso stretto, ma può diventarlo se i vincoli imposti limitano la libertà del lavoratore di organizzare come meglio crede il proprio tempo libero.
Questo principio è stato ribadito più volte, anche da recenti sentenze della Corte di Giustizia Europea. Una delle sentenze chiave a tal proposito è la sentenza C-518/15 del 21 febbraio 2018, con la quale è stato stabilito a argomentato che il vincolo imposto al lavoratore – ovvero l’obbligo di rimanere in un luogo specifico e di essere immediatamente disponibile – se limita oggettivamente la possibilità di dedicarsi ai propri interessi e impegni personali, allora deve essere considerato lavoro effettivo.
Cosa dice la legge sulla reperibilità lavorativa
La reperibilità non trova una disciplina organica e specifica all’interno dell’ordinamento giuridico italiano. Non esiste, infatti, una singola legge che ne definisca in modo esaustivo ogni aspetto. Tuttavia, il concetto di reperibilità può essere comunque inquadrato e regolato attraverso un intreccio di norme e accordi, che ne delineano i contorni e le modalità operative.
Innanzitutto, un riferimento fondamentale si trova nel Codice Civile, all’articolo 2087, che pur non parlando direttamente di reperibilità, stabilisce che: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Il legislatore, cioè, impone al datore di lavoro l’obbligo generale di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori. Questo principio di sicurezza e dignità del lavoratore si estende implicitamente anche ai periodi di reperibilità, garantendo in questo modo che non siano imposte condizioni eccessivamente gravose o lesive nella gestione della stessa da parte dell’azienda.
A ciò si aggiunge il Decreto Legislativo 66/2003, che stabilisce i limiti massimi di orario lavorativo, il diritto ai riposi giornalieri e settimanali, dettando così le norme sui tempi di lavoro e di riposo che tutelano la salute e la sicurezza del lavoratore in relazione e, di conseguenza, valgono anche per la reperibilità. Infatti, queste disposizioni sono cruciali per capire come i periodi di reperibilità debbano essere conteggiati e compensati, soprattutto quando si trasformano in vero e proprio lavoro effettivo.
Infine, ci sono i Contratti Collettivi Nazionali (CCNL), che stabiliscono poi – per i propri comparti e i lavoratori – modalità, limiti e compensi per i turni di reperibilità nel dettaglio. Ogni CCNL, a seconda del settore e delle specificità delle mansioni, può quindi prevedere regole differenti, adattandosi alle diverse esigenze organizzative e produttive.
Pertanto, ogni CCNL può stabilire delle regole precise e diverse da altri. Alcuni contratti possono stabilire precisi limiti settimanali o mensili per i turni di reperibilità, altri introducono indennità orarie o forfettarie per turno, riconoscendo economicamente il disagio e la limitazione della libertà personale derivanti dalla reperibilità. Non mancano poi disposizioni che regolano in maniera dettagliata le modalità di convocazione in caso di necessità e le tempistiche entro cui il lavoratore deve rendersi disponibile per l’intervento.
Per fare qualche esempio: il CCNL Sanità distingue chiaramente tra reperibilità passiva (solo disponibilità) e attiva (intervento), e prevede indennità tra i 20 e i 30 euro per turno di 12 ore. Altri contratti, come quello dei metalmeccanici o del commercio, stabiliscono invece indennità orarie per i periodi di reperibilità. Questo permette una maggiore flessibilità nel calcolo del compenso, commisurato al tempo effettivo di disponibilità richiesto al lavoratore.
Indennità di reperibilità: quanto pagare i dipendenti?
Chi è reperibile ha diritto a un’indennità economica anche se non viene effettivamente chiamato. Questa indennità rappresenta un riconoscimento per il vincolo imposto sulla libertà del lavoratore.
Quando un lavoratore è in stato di reperibilità, pur non essendo in quel preciso momento impegnato in attività lavorativa effettiva, la sua disponibilità è comunque limitata. Non può allontanarsi troppo dal luogo di potenziale intervento, deve essere raggiungibile e pronto a reagire entro tempi prestabiliti, e non può dedicarsi con piena libertà a tutte quelle attività (personali e non) possibili invece in un periodo di completo riposo. L’indennità di reperibilità mira proprio a compensare questa restrizione della libertà.
Tuttavia, non esistono importi fissi e uguali per tutti i lavoratori, poiché l’indennità di reperibilità varia da contratto a contratto.
La loro determinazione è demandata principalmente alla contrattazione collettiva, che definisce le condizioni economiche e normative per ciascun comparto (tenendo conto del tipo di vincolo).
In generale, nel 2025, le cifre medie si aggirano su:
- 0,80 – 1,50 euro l’ora nei settori del commercio e dei servizi, dove spesso la reperibilità può essere legata a esigenze meno immediate o a interventi di minore complessità (es. tecnici IT per assistenza remota, addetti a servizi di pronto intervento non emergenziale);
- 15 – 30 euro a turno nei settori industriali o della sanità, dove la reperibilità spesso implica un’elevata responsabilità, la necessità di interventi rapidi e qualificati, e talvolta la presenza fisica in contesti critici (es. medici, infermieri, tecnici di impianti industriali complessi).
C’è da fare però un’importante precisazione al riguardo, e cioè che l’indennità – come detto- remunera il solo vincolo di disponibilità. Se, durante il periodo di reperibilità, il lavoratore viene effettivamente chiamato a intervenire e svolge una prestazione lavorativa, quelle ore non rientrano più nel concetto di “reperibilità passiva”, bensì diventano ore di lavoro effettivo.
A tali compensi, poi, si aggiungono le eventuali maggiorazioni previste per il lavoro straordinario, notturno o festivo, a seconda dei casi.
Reperibilità non pagata: i rischi per il datore di lavoro
Ignorare gli obblighi contrattuali in caso di reperibilità espone l’azienda a diversi rischi.
Il primo e più immediato rischio per un datore di lavoro che non remunera correttamente la reperibilità è l’intervento dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL). In caso di controlli, sia ordinari che su segnalazione di un lavoratore o di un sindacato, l’INL ha il potere di accertare violazioni delle norme in materia di lavoro, inclusa la corretta applicazione dei CCNL per quanto riguarda l’indennità di reperibilità e la retribuzione delle prestazioni effettive.
Qualora vengano riscontrate irregolarità, l’Ispettorato può comminare sanzioni amministrative pecuniarie, il cui importo varia a seconda della gravità e della reiterazione dell’infrazione. A queste si aggiunge l’obbligo per l’azienda di regolarizzare la posizione del lavoratore, versando le somme dovute a titolo di indennità e/o di differenze retributive per straordinari non pagati, spesso con l’aggiunta di interessi e rivalutazione monetaria. Questo può tradursi in un onere economico considerevole, soprattutto se le violazioni si estendono a più lavoratori o per periodi prolungati.
Un altro rischio concreto, spesso più gravoso delle sanzioni amministrative, è l’apertura di vertenze legali da parte dei lavoratori. Un dipendente che si sente leso nel suo diritto a percepire l’indennità di reperibilità o il giusto compenso per gli interventi effettuati può decidere di rivolgersi a un legale o alle organizzazioni sindacali per tutelare i propri interessi.
Queste vertenze possono sfociare in ricorsi giudiziari presso il Tribunale del Lavoro. In caso di esito favorevole al lavoratore, l’azienda sarà condannata non solo al pagamento delle somme dovute (indennità arretrate, differenze retributive per straordinari, notturni o festivi non pagati), ma anche al risarcimento del danno eventualmente subito dal dipendente. A ciò si aggiungono le spese legali, che possono essere ingenti e aumentare ulteriormente il costo complessivo della vertenza.
Oltre ai rischi legali ed economici, la mancata remunerazione della reperibilità genera un significativo danno d’immagine e un deterioramento del clima lavorativo. In un mercato del lavoro sempre più competitivo, la reputazione di un’azienda come “buon datore di lavoro” è un asset prezioso. Notizie relative a violazioni dei diritti dei lavoratori o a contenziosi per mancati pagamenti possono facilmente diffondersi, anche attraverso il passaparola o i social media, danneggiando la percezione esterna dell’azienda. Questo può rendere più difficile attrarre nuovi talenti e fidelizzare quelli esistenti.
Infine, un trattamento iniquo dei periodi di reperibilità può creare un senso di frustrazione, demotivazione e sfiducia tra i dipendenti. I lavoratori potrebbero sentirsi sfruttati o non valorizzati, con conseguente calo della produttività.
Obblighi e diritti dei dipendenti
Non solo aziende e imprese, ma anche i lavoratori hanno diritti e obblighi precisi quando si tratta di reperibilità.
Vediamoli nel dettaglio.
Diritti dei lavoratori
In particolare:
- La reperibilità non può essere imposta unilateralmente dal datore di lavoro. Il lavoratore, cioè, non è automaticamente tenuto a rendersi reperibile, ma l’obbligo di reperibilità deve essere chiaramente stabilito e regolato – tra le parti – in linea con quanto disposto dal CCNL di riferimento (che è la fonte normativa primaria). In assenza di specifiche previsioni nel CCNL applicabile, la reperibilità può essere pattuita tra datore di lavoro e singolo dipendente tramite un accordo scritto, che ne specifichi termini e condizioni. La mancanza di una di queste basi giuridiche rende illegittima l’imposizione della reperibilità, esponendo il datore di lavoro a contestazioni e vertenze;
- Vale sempre il diritto del lavoratore in reperibilità ai ricevere un preavviso adeguato prima dell’inizio del turno. Sebbene non esista una norma di legge che stabilisca un termine fisso e uniforme, la prassi e la giurisprudenza consolidata, spesso recepita dai CCNL, indicano generalmente un preavviso di almeno 48-72 ore. Questo tempo è considerato necessario affinché il dipendente possa organizzare la propria vita privata in funzione del vincolo che gli verrà imposto. Naturalmente, esistono eccezioni per situazioni di comprovata emergenza o imprevedibilità. In questi casi, il preavviso può essere ridotto, ma la necessità dell’intervento urgente deve essere reale e documentabile. L’abuso di ridotti preavvisi può essere contestato dal lavoratore;
- Il dipendente ha il diritto di essere informato in modo chiaro e completo su tutti gli aspetti della reperibilità, ovvero su orari dei turni, le modalità di convocazione e i compensi previsti. La mancanza di trasparenza o la fornitura di informazioni insufficienti possono costituire un valido motivo per il dipendente per sollevare contestazioni.
Infatti, il dipendente ha la facoltà di rifiutarsi di svolgere turni di reperibilità in assenza di obbligo contrattuale (se la reperibilità non è prevista dal CCNL o da un accordo individuale) o per violazione dei limiti di legge o contrattuali.
La reperibilità, pur essendo legittima, non può essere imposta in maniera indiscriminata, al punto da compromettere questi diritti al riposo.
Obblighi e doveri del lavoratore in caso di reperibilità
La reperibilità, seppur con tutte le tutele e i diritti a favore del dipendente, non è un mero privilegio, ma comporta anche precisi obblighi e responsabilità da parte del lavoratore.
Tra i doveri, ci sono l’impegno a:
- Garantire la propria disponibilità e a reagire in modo tempestivo ed efficace in caso di necessità (quindi essere raggiungibile e in un area vicina per garantire l’intervento nei tempi previsti);
- Non assumere condotte che compromettano l’intervento o la sua idoneità a svolgere la prestazione in caso di chiamata. Ciò include, ad esempio, l’abuso di alcol o sostanze stupefacenti che possano alterare le sue capacità psicofisiche e renderlo inidoneo all’intervento;
- Attivarsi tempestivamente secondo le modalità e i tempi prestabiliti
- Comunicare imprevisti e impossibilità nella prestazione e nel garantire la disponibilità, anche prima di un eventuale chiamata (e a prescinedere che questa poi ci sia) per permettere all’azienda di organizzare una sostituzione o trovare soluzioni alternative, minimizzando i disagi operativi. La mancata comunicazione può essere considerata una grave inadempienza.
Consigli utili per le aziende: come gestire al meglio la reperibilità
Organizzare la reperibilità richiede pianificazione, buon senso e rispetto delle regole. Ecco alcune buone pratiche che ogni azienda dovrebbe adottare:
- Verificare cosa prevede il proprio CCNL, evitando soluzioni improvvisate o informali;
- Concordare turni in forma scritta, con calendario e condizioni chiare;
- Programmare i turni con almeno una settimana di anticipo, per garantire l’organizzazione della vita privata dei dipendenti;
- Limitare la reperibilità alle reali esigenze, valutando alternative (es. call center esterni, automazione);
- Favorire la rotazione, per non gravare sempre sugli stessi lavoratori;
- Monitorare le chiamate e gli interventi, per verificare se la reperibilità è effettivamente utilizzata e dimensionarla correttamente;
- Gestire tutto tramite strumenti digitali, per garantire tracciabilità e corretto calcolo degli extra.
Gestisci orari, turni e rilevazione presenze con Factorial
Per semplificare la gestione della reperibilità e garantire trasparenza, molte aziende oggi utilizzano strumenti digitali come Factorial, un software di gestione aziendale completo che semplifica la gestione turni.
Con Factorial è possibile:
- Creare e assegnare automaticamente i turni;
- Registrare eventuali chiamate e ore effettive lavorate;
- Calcolare in automatico indennità e straordinari;
- Conservare uno storico utile in caso di contestazioni.
L’adozione di soluzioni tecnologiche avanzate come Factorial emerge come uno strumento efficace per la gestione ottimale della reperibilità, che consente alle aziende di affrontare le complessità normative e operative con maggiore precisione e trasparenza.
Nel garantire la conformità agli obblighi legali e contrattuali e migliorare l’efficienza interna, prevenendo potenziali contenziosi, l’investimento in tali strumenti si traduce, di fatto, in un significativo vantaggio competitivo e in una maggiore sicurezza per il datore di lavoro e per il team delle risorse umane.
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Domande frequenti sulla reperibilità lavorativa
Come funziona la reperibilità nel lavoro?
Durante la reperibilità, il lavoratore resta disponibile a eventuali chiamate, pur non essendo formalmente in servizio. Solo il tempo di intervento è considerato orario di lavoro.
Quanto viene pagata la reperibilità?
Viene pagata con un’indennità fissa o oraria, definita dal contratto. In aggiunta, eventuali ore lavorate vengono retribuite con le maggiorazioni previste.
Quante ore si possono fare in reperibilità?
Non c’è un tetto unico, ma il datore deve garantire il rispetto dei limiti sull’orario settimanale (massimo 48 ore, incluse straordinarie) e dei riposi obbligatori.
Quanti giorni di reperibilità si possono fare in un mese?
Dipende dal contratto. In genere si prevede un numero massimo di turni mensili o settimanali, con rotazione tra i lavoratori.
La reperibilità è obbligatoria?
Solo se prevista dal contratto collettivo o da un accordo scritto. In caso contrario, il lavoratore può rifiutare.