Quali sono le ultime novità sul vaccino aziendale? Il green pass è diventato obbligatorio per i dipendenti privati?
In questa fase così concitata dell’emergenza pandemica, la campagna di vaccinazione dei dipendenti è ormai un argomento di discussione pressoché giornaliero tra gli addetti ai lavori. Sia imprese che dipendenti sono alla ricerca di risposte certe, che possano permettere a entrambi di organizzarsi conseguentemente.
La necessità di presentare il green pass (ovvero il certificato relativo al covid valido a livello europeo) sta creando non poca confusione. Al momento è obbligatorio sui mezzi di trasporto a lunga a percorrenza, nei ristoranti ma non per soggiornare negli alberghi. Non è stata presa ancora nessuna decisione, invece, per quanto riguarda le aziende.
I principali dubbi e le preoccupazioni di lavoratori e datori di lavoro privati derivano dalle decisioni prese dal governo in altri settori. Per il personale scolastico in generale è stato imposto l’obbligo di possesso del green pass, pena la sospensione senza retribuzione a partire dal quinto giorno di assenza, come anche per gli studenti universitari, anche se l’obbligo non è stato esteso agli studenti minorenni.
Il Governo sta stabilendo poco a poco il quadro generale entro il quale il green pass sarà obbligatorio in base al nuovo decreto, approvando all’unanimità in sede di Consiglio dei Ministri. L’estensione dell’uso del green pass (ottenibile dopo una vaccinazione, guarigione o test molecolare negativo) ha influenzato per primo il mondo dell’istruzione, seguendo la tendenza confermata nelle scorse settimane dall’esecutivo.
In questo articolo cerchiamo di fare chiarezza, analizzando le novità riguardo al vaccino aziendale, la situazione relativa al green pass alla luce della recente introduzione dell’obbligatorietà del certificato covid per bar e ristoranti al chiuso.
- Vaccino aziendale: il green pass è obbligatorio per i dipendenti privati?
- Vaccinazione nelle aziende: chi non si vaccina rischia davvero lo stipendio?
- Vaccino dipendenti: la presa di posizione di alcune aziende
- Vaccino covid aziende: il protocollo INAIL
- Vaccinazione aziende: adesioni e prenotazioni del vaccino per i dipendenti
Vaccino aziendale: il green pass è obbligatorio per i dipendenti privati?
Cerchiamo di fare chiarezza in primis su questo punto, che risulta essere il più importante. La proposta di rendere obbligatorio il green pass nelle aziende private è stata avanzata a fine luglio direttamente da Confindustria. Al giorno di pubblicazione di questo articolo, non esiste alcun obbligo per i lavoratori dipendenti di possedere il green pass e, di conseguenza, rischiare il licenziamento o altre conseguenze.
Nonostante la non obbligatorietà del green pass per lavorare in azienda, la legge del nostro Paese lascia un buon margine di decisione all’azienda stessa, permettendo di prendere provvedimenti.
Secondo quanto disposto dal Codice Civile nonché dalle norme previste dal Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro, contenute nel dlsg. n. 81/2008, garantirebbe al datore di lavoro la facoltà di chiedere il green pass obbligatorio per entrare in azienda.
È previsto dalla legge, infatti, che nel caso in cui venga messa a repentaglio la sicurezza dei lavoratori, se il vaccino aziendale o il green pass vengono considerati come l’unica misura per poterla garantire, in quel caso il datore di lavoro ha la facoltà esigerne l’esibizione da parte del dipendente, nonché di sospenderlo senza stipendio in caso di risposta negativa.
Vaccinazione nelle aziende: chi non si vaccina rischia davvero lo stipendio?
Anche se i licenziamenti vengono categoricamente esclusi, la questione relativa alle sospensioni senza stipendio trovano sempre più spazio nel dibattito attuale. Ovviamente, nel caso in cui il possesso del green pass diventi effettivamente obbligatorio in azienda, i dipendenti che rifiutano il vaccino aziendale o presentare il certificato potrebbero rischiare di perdere lo stipendio. Ciò è quanto si evince dalla proposta di Confindustria di cui abbiamo parlato poco sopra.
Dal testo della proposta emerge che la necessità di possedere un green pass covid in corso di validità dovrebbe ricadere all’interno degli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede sui quali si basa qualsiasi rapporto di lavoro.
Come specifica conseguenza di queste conclusioni, ogni datore di lavoro potrebbe avere la possibilità (sempre e quando possibile) di adibire il dipendente a delle mansioni differenti da quelle che normalmente svolge, continuando a corrispondere la retribuzione spettante. Nel caso in cui, però, questo non risultasse possibile, il datore di lavoro dovrebbe avere la possibilità di non permettere al dipendente di svolgere il proprio lavoro, con la relativa sospensione della retribuzione in caso di allontanamento dell’azienda.
Cercando di riassumere nella maniera più semplice possibile, nel caso in cui il green pass diventi obbligatorio per i lavoratori dipendenti, il lavoratore che rifiuta di vaccinarsi o presentare il certificato può:
- essere adibito a mansioni differenti mantenendo la medesima retribuzione
- essere sospeso dal proprio lavoro e ricevere una sospensione dello stipendio
Negli scorsi giorni sono emersi diversi case di sentenze relativi a casi specifici. In base a tali sentenze il tribunale ha disposto che anche se il rifiuto del vaccino non dà la possibilità di ricorrere a delle sanzioni disciplinari, dà comunque la possibilità di portare a delle conseguenze relative alla valutazione oggettiva in merito all’effettiva idoneità dei lavoratori alla propria mansione. Chi, ad esempio, lavora a contatto con delle altre persone e decide di non vaccinarsi può legittimamente essere considerato un pericolo per la salute altrui e rischiare di veder sospesa la propria possibilità di lavorare e il proprio stipendio.
In sintesi, basandoci esclusivamente su quanto previsto dalla legislazione attuale, il possesso del green pass potrebbe venir considerato come requisito obbligatorio per lavorare nelle aziende private, con il conseguente rischio per chi non si vaccina di una sospensione dello stipendio.
Vaccino dipendenti: la presa di posizione di alcune aziende
Dopo aver cercato di spiegare la situazione relativa al green pass e alla vaccinazione nelle aziende, è arrivato il momento di parlare della presa di posizione di alcune aziende relativamente a questo tema.
Un’azienda in particolare, infatti, introdotto la fattiva obbligatorietà del green pass in azienda per i propri lavoratori a partire da settembre 2021, attraverso una lettera diretta ai dipendenti. L’azienda in questione è la Sterilgarda di Castiglione delle Stiviere, la quale ha annunciato, come detto, la decisione tramite una comunicazione diretta ai propri dipendenti, generando non poche polemiche.
Nella lettera viene chiesto ai dipendenti di vaccinarsi, pena l’adibizione a diversa mansione con l’intento di evitare rischi di contagio tra il personale. Nel caso in cui il passaggio a diversa mansione non risultasse praticabile, l’azienda ha espressamente fatto sapere ai dipendenti che chi non sarà in possesso di green pass subirà una sospensione dal lavoro e dallo stipendio.
Altro caso diverso ma particolarmente interessante è quello dell’azienda Barberinòs di Torino, la quale ha deciso di offrire un premio economico in busta paga ai dipendenti che decideranno di concludere il ciclo di vaccino aziendale completo. L’azienda specializzata nella cura di capelli e barba ha preso questa decisione a seguito delle restrizioni imposte sia a livello regionale che nazionale, introducendo all’interno della propria organizzazione un sistema rinominato “cashback vaccinale”. L’iniziativa va avanti ormai da più di un mese e con risultati eccellenti, con l’obiettivo di incentivare la vaccinazione dei dipendenti senza imporre dei veri e propri obblighi ne forzando le decisioni. Il contributo economico è costituito da un premio di 100 euro netti da ricevere in busta paga, oltre ad un giorno aggiuntivo di vacanza per tutti i dipendenti del personale Barberinòs che completa il ciclo vaccinale ottenendo il green pass.
Vaccino alle aziende: il protocollo INAIL
Durante la primavera di quest’anno è stato firmato un protocollo nazionale al quale le aziende si sono dovute attenere in termini di vaccinazione. Il protocollo INAIL contiene indicazioni relativamente ai requisiti minimi, alle modalità organizzative, all’impostazione dei moduli di consenso rispetto al trattamento dei dati personali, alla relativa formazione, alla programmazione e al coordinamento logistico della campagna del vaccino aziendale.
Base di partenza imprescindibile di questo protocollo è il fatto che la vaccinazione dei dipendenti nelle aziende non interferisca ma, anzi, vada ad integrare la campagna vaccinale in atto sul piano nazionale. Come è chiaro, la fornitura fisica dei vaccini sarà onere del Commissario Straordinario all’Emergenza come, allo stesso modo, quella degli strumenti che serviranno alla somministrazione delle dosi di vaccino.
Parlando invece della questione relativa alla formazione e la registrazione informatica delle vaccinazioni, la responsabilità ricade sulle imprese, le quali dovranno fornire i punti vaccinali e farsi carico delle spese organizzative.
Le aziende che vogliano mettere a disposizione i propri spazi privati per lo svolgimento della vaccinazione covid dovranno necessariamente comunicare all’ASL competente per la propria zona, seguendo le modalità definite da ogni regione, che saranno inoltre responsabili anche per le procedure di ritiro dei vaccini, effettuato da parte di un medico competente o del personale sanitario individuato dal datore di lavoro. Il soggetto incaricato del ritiro delle dosi di vaccino dovrà garantire la corretta gestione delle stesse, in primo luogo per quanto riguarda il mantenimento della catena del freddo.
Secondo le stime effettuate sono circa 680 le aziende che verranno trasformate in veri e propri centri vaccinali in funzione nel proprio territorio, e che garantiranno almeno 3 spazi dedicati e distinti:
- uno primo spazio per l’accettazione
- un secondo spazio per la vaccinazione
- un terzo spazio per l’osservazione post-vaccinale (di solito di 15 minuti) e l’utilizzo dei dispositivi medici necessari.
L’azienda in questione dovrà anche assicurare la corretta programmazione della seconda dose, nel rispetto dei tempi dettati dal piano nazionale, con lo stesso tipo di vaccino impiegato per la prima dose. L’intera procedura sarà in ogni caso supervisionata delle autorità sanitarie competenti, le quali avranno la possibilità di effettuare tutti controlli necessari.
Vaccinazione covid aziende: adesioni e prenotazioni del vaccino per i dipendenti
L’adesione al vaccino aziendale da parte dei dipendenti continua, allo stato attuale, ad essere volontaria e può essere registrata sia da parte del medico competente che da parte personale sanitario, che valutano l’eventuale necessità di reindirizzare gli stessi presso le strutture sanitarie in base alle valutazione dello stato di salute e nel rispetto della loro riservatezza.
I dati personali che attengono al formulario di adesione volontaria dei dipendenti dovranno essere trattati esclusivamente dal professionista sanitario specificatamente preposto “il quale potrà valutare in via preliminare le specifiche condizioni di salute del dipendente, nel rispetto della privacy, che possano indirizzare la vaccinazione in contesti sanitari specifici contestuali all’Azienda Sanitaria di riferimento, la quale certificherà la necessità di una presa in carico”. Allo stesso modo, ai fini dell’individuazione del numero di dosi di cui c’è bisogno e del particolare tipo di vaccino da somministrare al dipendente.
Il datore di lavoro, al momento della presentazione del piano vaccinale aziendale all’ASL competente per il proprio territorio dovrà limitarsi, in base alle indicazioni fornite dal proprio professionista sanitario, a indicare semplicemente il numero totale dei vaccini necessari per la realizzazione dell’iniziativa presso la propria azienda.
Il piano vaccinale dell’azienda, stilato in base alla diretta supervisione di un professionista sanitario e presentato dall’azienda stessa, non dovrà contenere in alcun modo dati personali in grado di rendere pubblica l’identità dei dipendenti che abbiano deciso (o rifiutato) di aderire all’iniziativa vaccinale.
Il professionista sanitario (o, in alternativa, la struttura sanitaria competente) procederà, una volta raccolte tutte le adesioni, a stilare un piano per definire date e orari delle varie sedute vaccinali sempre mantenendo, rispetto al trattamento dei dati personali, tutte le misure tecnico-organizzative necessarie ad assicurare un livello di sicurezza accettabile e commisurato al rischio presente, potendo contare sul supporto (anche economico, se necessario) messo a disposizione dal datore di lavoro stesso.
I dati personali che hanno a che fare specificatamente con le adesioni e le anamnesi dei dipendenti non dovranno in alcun modo (neanche a causa di un errore) nella disponibilità materiale del personale dell’impresa come di qualsiasi altro personale incaricato di qualsiasi altro tipo di funzione aziendale (come, per esempio, gli addetti alla gestione delle risorse umane) e in generale a uffici o altre persone normalmente incaricate del trattamento dei dati personali dei dipendenti per usi e finalità relative alla gestione stessa del rapporto lavorativo.
Nei casi particolari in cui l’azienda ospitante decida di rivolgersi a strutture sanitarie private o, in altri casi in assenza del relativo medico competente, alle strutture del territorio di competenza INAIL, il datore di lavoro stesso dovrà adottare delle iniziative idonee a permettere ai dipendenti, sempre e quando siano interessati, di poter aderire all’iniziativa relativa alla vaccinazione in azienda, rivolgendosi direttamente alle strutture che abbiamo menzionato poco sopra.