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Salute e lavoro: perché il benessere è (davvero) una priorità strategica

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3 minuti di lettura
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Lo scorso 7 aprile si è celebrata la Giornata Mondiale della Salute.

Un momento dal forte valore simbolico, ma anche l’occasione giusta per guardare in faccia una realtà sempre più pressante: qual è lo stato reale della salute mentale nei luoghi di lavoro?

Oggi se ne parla più di prima. La pandemia ha acceso i riflettori su temi come l’equilibrio vita-lavoro, il burnout e la necessità di flessibilità. Ma tra l’aumentata consapevolezza e l’azione concreta da parte delle aziende c’è ancora un divario importante.

Molti manager riconoscono il valore del benessere, ma pochi lo trattano come una leva strategica. Eppure, i numeri mostrano che non farlo ha un costo (umano ed economico) troppo alto per essere ignorato.

La situazione in Italia

Se allarghiamo lo sguardo a livello europeo, l’Italia emerge per un dato preoccupante: siamo tra i paesi con i più alti livelli di stress sul lavoro.

 Secondo l’ADP Research Institute, il 64% dei lavoratori italiani afferma di soffrire di stress lavorativo elevato.
Un dato che ci pone in cima alla classifica continentale.

E non si tratta di semplice stanchezza o di un momento passeggero.
Le cause principali vanno più in profondità: mancanza di riconoscimento, senso di precarietà, scarsa chiarezza nei ruoli e, soprattutto, una leadership poco presente.

In altre parole: molte persone non si sentono viste, né ascoltate. E questo ha conseguenze tangibili sul clima aziendale, sull’engagement e sulla produttività.

Per chi ha ruoli di responsabilità, ignorare questo segnale significa rinunciare a una parte fondamentale della propria funzione manageriale.

Lo stress è un rischio per il business

Burnout, ansia, disconnessione emotiva, calo di motivazione: quando il benessere dei team viene trascurato, le performance non possono reggere a lungo.

E quando le persone iniziano a “staccarsi” mentalmente dal proprio lavoro — senza lasciare l’azienda — si entra in una fase ancora più delicata: quella del quiet quitting.

Niente lettere di dimissioni. Nessuna rottura esplicita. Solo una progressiva riduzione dell’impegno.
Il risultato? Team meno reattivi, collaborazioni più fragili, cultura aziendale impoverita.

Secondo uno studio di Deloitte, ogni persona con un problema di salute mentale non affrontato può generare una perdita media di oltre 1500 euro all’anno per l’azienda.

E non si tratta solo di giorni di malattia. Il vero costo sta nella produttività ridotta, nella mancanza di iniziativa, nei ritardi, nell’incapacità di innovare. Senza contare la difficoltà nel trattenere i talenti migliori o attrarne di nuovi.

In sintesi: il benessere non è solo una questione di HR. È una priorità strategica che riguarda tutte le funzioni aziendali.

Il benessere non è un extra: è parte della strategia

Il benessere organizzativo non è un’iniziativa secondaria né un benefit accessorio.

È un elemento strategico che influisce direttamente sulla produttività, sull’engagement e sulla capacità dell’azienda di trattenere talenti nel lungo periodo.

Le aziende che integrano il wellbeing nella cultura aziendale ottengono risultati misurabili: minore turnover, team più motivati, maggiore chiarezza negli obiettivi.
Il contrario, invece, si traduce in stress diffuso, bassa collaborazione e rischio crescente di quiet quitting.

Cos’è davvero il wellbeing aziendale?

Non si tratta di attività sporadiche o gesti simbolici, ma di un insieme di pratiche, strumenti e processi che permettono alle persone di lavorare in un contesto sano, sostenibile ed efficace.

Un programma di wellbeing aziendale efficace si costruisce su alcuni pilastri chiave:

  • Una leadership consapevole e capace di ascoltare
  • Un sistema di feedback continuo
  • Processi chiari che prevengano il sovraccarico
  • Strumenti concreti per monitorare il clima interno e supportare i team in tempo reale

Il ruolo della leadership

Per funzionare, la cultura del benessere deve essere guidata dall’alto. Serve una leadership in grado di riconoscere i segnali di malessere, gestire le priorità con chiarezza e facilitare un dialogo aperto con le persone del team.

Ma non basta l’intenzione.

Serve dotarsi degli strumenti giusti per trasformare l’ascolto in azione: survey periodiche, check-in strutturati, gestione efficace dei carichi di lavoro e dei processi di comunicazione.

Cosa funziona davvero (e cosa puoi iniziare a fare subito)

Le aziende che stanno cambiando rotta non puntano su soluzioni miracolose, ma su azioni continue e strutturate:

  • Survey anonime e regolari per monitorare lo stato d’animo delle persone
  • Check-in frequenti tra manager e collaboratori, anche informali
  • Feedback continui, visibili e costruttivi
  • Politiche di flessibilità definite, non solo promesse
  • Revisione dei carichi di lavoro e dei canali di comunicazione

Risultato? Più fiducia, più allineamento, più motivazione. E un contesto in cui le persone si sentono parte di qualcosa, non solo risorse operative.