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Trasformazione digitale e agile HR – Intervista con Matteo Sola

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6 minuti di lettura
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La trasformazione digitale è un processo che può rivelarsi molto lungo e pieno di difficoltà se non intrapreso con i giusti strumenti. Ciò che aiuta in particolare le imprese nel processo di trasformazione digitale è una cultura che sia incentrata sulle persone e la fiducia reciproca tra azienda e dipendente.

Matteo Sola, che si autodefinisce un ricercatore e divulgatore degli approcci digitali applicati alle risorse umane, ha parlato con noi di Factorial per raccontarci su quali temi dovrebbero focalizzarsi le aziende per una trasformazione digitale che possa avere successo.

Per iniziare ho chiesto a Matteo di approfondire insieme a noi il People&Culture’s Manifesto. Se visitate il suo profilo Linkedin avrete la possibilità di leggere quello che ha definito un “manifesto provvisorio per l’HR di domani“. Nel testo propone la sua visione del mondo HR e ho voluto che commentasse in questa intervista alcuni punti importanti.

software risorse umane

E: Innanzitutto chiederei: cosa ti ha spinto a scrivere un manifesto di questo tipo?

M: “Credo che nella vita sia importante riflettere su se stessi e mettere nero su bianco la propria visione del lavoro e della propria professione”.

Matteo ci riferisce che ha deciso di scrivere questo manifesto valoriale del tutto personale affinché potesse essere di aiuto a guidare sia lui sia chi interagisce con la sua persona, ponendo le basi della relazione. Il motivo per cui è stato scritto e condiviso quindi non è tanto per influenzare gli altri, quanto per comunicare in modo trasparente quello che pensa e come prova a porsi nei confronti del lavoro tutti i giorni.

Al punto due del manifesto Matteo incoraggia le persone a non eseguire e vivere passivamente le dinamiche aziendali. Sappiamo però che non sempre è facile dire la propria in azienda, perché si ha paura della reazione che colleghi e superiori potrebbero avere o perché non si dispone dei canali adatti.

E: Come suggeriresti di comportarsi in questo caso?

Matteo ci confessa in tutta sincerità che i piccoli successi e le innovazioni che in azienda gli vengono attribuite dipendono spesso dalla sua volontà di rompere qualche schema e pensare sempre a cosa si può fare di diverso, anche se magari non ha in mente la soluzione perfetta fin dall’inizio.

M: “È il mio mindset e sicuramente porta ad esporsi a dei rischi, ma parto sempre dal concetto che “non ho nulla da perdere”: alla fine il mio lavoro può avere alto impatto sulle persone ma non è quello di un chirurgo in sala operatoria (cioè non muore nessuno se sbaglio)”.

Matteo crede fortemente che le persone debbano osare di più e mettersi in gioco in azienda.

Come ci dice, spesso siamo troppo preoccupati delle possibili reazioni di colleghi e superiori, ma se osassimo di più scopriremmo che c’è parecchia comprensione umana e consapevolezza che tutti possiamo sbagliare e fallire.

M: “Solo così possiamo fare la differenza e non essere gli anonimi ingranaggi di un sistema più grande di noi che ci controlla e basta”.

In seguito al punto sei Matteo parla di collaborazione e competizione e la sottile linea che divide le due cose.

E: Come può fare un’azienda, al giorno d’oggi, per assicurare una collaborazione dei dipendenti che sia sana e generi supporto reciproco tra i colleghi?

M: E’ una grande sfida e credo che dipenda dai pesi e contrappesi che inseriamo nella nostra cultura e nei nostri processi”.

Puntare sulla collaborazione per Matteo significa iniziare a chiedersi, ad esempio: chi premiamo in azienda? L’individuo o il team? E sulla base di cosa? Valorizziamo solo il best performer senza valutare se ha agito in modo etico e rispettoso degli altri o ci interessa che le persone raggiungano i loro obiettivi assieme?

Crediamo nel valore superiore del teamwork e lo promuoviamo realmente? Questi sono i temi su cui bisognerebbe focalizzarsi focalizzarsi quando si parla di lavoro di squadra secondo Matteo.

M: “Ad esempio io utilizzo spesso il metodo OKR per gestire gli obiettivi aziendali e propongo sempre di non utilizzare la dimensione individuale, focalizzandosi sugli obiettivi di team”.

Questo per Matteo è un modo per spostare il focus dalla competizione alla collaborazione in modo concreto.

All’ultimo punto del manifesto invece si menzionano i temi dell’innovazione e il cambiamento. Per questo ho voluto chiedere di più a Matteo sul suo punto di vista in merito alla trasformazione digitale delle imprese e le principali sfide che devono affrontare in questo momento.

digitalizzazione aziendale

E: Quali sono i principali cambiamenti e le sfide in corso nel mondo HR?

Matteo identifica la trasformazione digitale, di cui si occupa ormai da anni, tra le principali sfide per il mondo HR nelle aziende di oggi.

M: “Imparare a fare codesign, ad utilizzare i dati, a ridisegnare modelli organizzativi agili e flessibili al cambiamento continuo, per poi raccontarlo in maniera ottimale all’esterno sfruttando tutte le leve del marketing e della comunicazione digitale”.

La sfida dell’HR oggi, ci dice, è quella del salto di qualità: da funzione di staff, burocratica, conservatrice e spesso mal vista in azienda, a elemento centrale del business stesso e del benessere, ma anche empowerment delle persone, cioè in grado di abilitare il lavoro e di avere un vero impatto, per una trasformazione digitale di successo.

Parlando di cambiamenti, quest’anno le trasformazioni nel mondo del lavoro sono state diverse, partendo dall’implementazione dello smart working in maniera esponenziale. Su Linkedin Matteo si è espresso più volte sul tema dello smart working e ha evidenziato anche un aspetto che a volte passa inosservato, ovvero il rischio di sperimentare stati come il burnout.

E: Come si può evitare che lo smart working diventi un aspetto negativo del lavoro?

La risposta è semplice per Matteo: dando alle persone e all’organizzazione gli strumenti per gestirlo.

Matteo ci dice che le aziende più in difficoltà di fronte al lavoro da remoto in particolare sono state quelle non dotate dei giusti presupposti culturali e manageriali, prima di tutto.

M: “Se non hai una cultura della fiducia, della trasparenza e del lavoro per obiettivi agili non puoi né gestire una crisi improvvisa e totalizzante come questa in modo credibile, né affrontare la trasformazione dello smart working. Se pensi di poter controllare le persone a distanza hai fallito in partenza”.

Il consiglio che dà Matteo è prima di tutto lavorare sull’evoluzione della leadership. Poi dare a tutti formazione, tool e supporto per imparare ad autogestirsi da un lato per essere produttivi e salvaguardare il proprio equilibrio personale e dall’altro, curando non solo la performance, ma anche il benessere psicofisico.

Se non facciamo tutto questo, sottolinea, allora il rischio è di perdere le grandi occasioni che lo smart working offre e di potenziare invece i suoi rischi e gli effetti collaterali di una sua cattiva gestione.

E: Come possono essere d’aiuto le aziende nel supportare i dipendenti per non farli sentire isolati e non far perdere il senso di appartenenza all’azienda?

In questo senso è fondamentale curare le azioni di engagement e di coinvolgimento. Come ci racconta, prima di tutto bisogna avere una strategia, che per esempio preveda la raccolta ed analisi continua dei dati rispetto al feeling della propria popolazione di dipendenti. Poi costruire iniziative che coinvolgano e rinforzino costantemente le persone, ricreando identità collettiva e senso di appartenenza.

M: Sono micro azioni ripetute, spesso, come un aperitivo anche se da remoto o una pillola formativa o un focus group in cui si viene ascoltati e capiti, uno sportello di ascolto del team HR sempre aperto, che fanno la differenza.

Come hanno già commentato altri professionisti in precedenza anche Matteo ci dice che i grandi eventi possono essere utili in generale, ma da soli lasciano poco dietro di sé.

M: “Essere piccoli, ma costanti e consistenti, e coerenti con i valori aziendali e quello che diciamo di voler fare, per me è questa la chiave”.

Matteo si definisce un “digital e agile expert”, termini che forse non sono di così immediata comprensione per tutti. Per questo ho chiesto di spiegarci meglio.

dipartimento per la trasformazione digitale

E: Potresti spiegarci il concetto di agile management?

Matteo ci spiega che bisogna partire dal dire che l’agile è un mindset prima che una serie di pratiche da gestire, in realtà. Si basa molto sul rispetto e l’apertura per le persone, l’adattamento al cambiamento, la collaborazione e l’apprendimento continuo.

Questo può essere applicato in molti modi sia a livello del nostro modo di lavorare (si parla infatti di pratiche agile e “rituals”, cioè abitudini rituali che si ripetono costantemente, ad esempio le retrospettive) sia a livello di processo secondo modelli diversi.

M: “Di base solitamente l’agile prevede alcuni elementi a livello organizzativo quali l’accento sulla dimensione di team (altamente autonomi e con poca gerarchia interna), connessioni forti e fluide tra i vari team in azienda, interfunzionalità (ogni team tende ad avere all’interno gran parte delle competenze necessarie a portare avanti i propri progetti), snellimento della burocrazia, sperimentazione continua di strumenti e metodologie per reinventare il proprio lavoro e approccio iterativo per la generazione continua di valore”.

Fare agile management significa creare e promuovere le condizioni, ovvero la cultura, le competenze, i processi ecc, affinché queste cose avvengano. Il resto lo faranno le persone stesse, abilitate al cambiamento continuo.

In conclusione delle interviste chiedo sempre ai nostri ospiti un consiglio.

M: Qual è il primo consiglio che ti verrebbe in mente per chi vuole creare una solida cultura aziendale?

Per Matteo è tutta una questione di lavorare sul purpose:

M: “Guardarsi dentro e riscoprire il perché più profondo dell’esistenza della vostra azienda senza darlo per scontato, perché non lo è”.

Solo così sarà possibile tradurre la spinta più esistenziale e profonda, ed ispirazionale per le nostre persone, che ci sia in valori, mission, vision, obiettivi, processi e pratiche di lavoro. Perché tutto il resto dipende o meglio dovrebbe dipendere da quello.

M: “E la coerenza. Essere davvero quello che si dichiara di essere dentro e fuori dall’azienda, con la massima trasparenza”.

Ringraziamo Matteo Sola per aver condiviso con noi il suo pensiero e le sue pratiche lavorative.

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Isotta è Content Marketing Specialist in Factorial ed è appassionata di comunicazione, copywriting, social media e HR. Ama la natura, viaggiare e giocare a pallavolo.

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